La proposta che il Consiglio Nazionale Forense offre al Paese “per un sistema giustizia a servizio della persona”, racchiude un progetto ambizioso che intende approfondire le problematiche che interessano il mondo giudiziario. Con la consapevolezza di doversi porre di fronte al dovere di cogliere le ansie e le aspettative dei cittadini, di rendersi autori di un messaggio propositivo e autorevole che miri ad essere raccolto e apprezzato dalle istituzioni e, in generale, dalla collettività. Si ritiene necessario, infatti, che l’Avvocatura, coesa e unita, riaffermi, nell’ambito del cosiddetto “mondo giudiziario”, il ruolo che le compete, ponendosi così, con autorevolezza, al centro delle proposizioni e interlocuzioni con le altre componenti della giurisdizione e non.

Per poter fare questo, occorre partire dalla affermazione di un principio cardine, e cioè che libertà e autonomia sono fondamentali nell’esercizio della professione forense: non si tratta, infatti, di una attività certificativa né di una semplice cooperazione complementare alle funzioni esercitate dalle altre componenti della giurisdizione, ma di un ministero fondativo dello Stato di diritto: là dove gli avvocati sono un semplice completamento, là dove non possono esprimere la loro voce, là dove vi sono limiti all’espletamento della loro funzione non vi è democrazia.

Ciascuno, però, deve fare la sua parte.

È indispensabile, quindi, un impegno civico collettivo, che deve essere anche — per ciò che riguarda, ad esempio, gli avvocati e i magistrati — impegno politico comune nei settori della politica giudiziaria e delle professioni, e che deve avere come obiettivo la salvaguardia delle tutele, il rispetto e l’umanità verso i cittadini che chiedono l’applicazione della legge, l’adesione a valori etici, dove è fondamentale che chiunque svolga una qualsivoglia funzione di rappresentanza e di governo venga considerato, in virtù dei propri comportamenti ineccepibili, positivi, fermi e coerenti, come esempio e autorevole punto di riferimento da parte della collettività.

È necessario ricordare al Paese e a noi stessi la centralità della corretta idea di giurisdizione in un sistema democratico, che va considerata non solo come una funzione del Pubblico, ma come una manifestazione e rappresentazione della concezione di Stato di diritto, così come disegnato dalla nostra Costituzione. Una giurisdizione intesa come sede di libertà, di tutela dei diritti, del principio di eguaglianza, è una giurisdizione specchio di una democrazia evoluta e solidale. Una giurisdizione che vede sacrificati, anche solo in parte, questi valori rischia di essere il riflesso di una società che non pone più al centro, come dovrebbe, la persona e la sua dignità, allontanandosi così dal modello della nostra Carta.

Della tenuta costituzionale del nostro sistema giustizia e sociale risponde certamente la politica, ma anche gli avvocati, i magistrati, i media, tutti i corpi intermedi portatori di responsabilità.

Quello che tutti i soggetti responsabili devono avere ben chiaro è che giurisdizione e processo, ogni tipo di processo, significano mediazione e risoluzione secondo diritto dei conflitti tra i cittadini e tra i cittadini e lo Stato, diritto inteso come unico strumento non sacrificabile di garanzia della pace sociale, diritto e giurisdizione che non possono dunque essere piegati a interessi o obiettivi diversi da quelli della ricerca di un equilibrio collettivo democratico e pacifico.

Assecondare, quindi, un approccio irrazionale e atecnico alla giustizia, significa correre il rischio di deviare da principi cardine, come la consapevolezza che il processo civile non è solo processo di impresa, ma anche sede di tutela di altri diritti, alcuni socialmente molto sensibili, o, quanto al nostro processo penale, mettendo in discussione, sino a capovolgerla, la presunzione di non colpevolezza, il diritto alla difesa, vero baluardo democratico, o il principio di assistenza ai non abbienti, assieme, ovviamente, alla non rinunciabile indipendenza e autonomia della magistratura.

Facciamo attenzione a negare, anche solo in parte, il pieno diritto di difesa per tutti, a ipotizzare sanzioni a carico di difensori, a sacrificare gradi di giudizio, a mantenere in vita — o ad approvarne ulteriori — riforme dissennate, irresponsabili, giustizialiste, per nulla coerenti — anzi, in alcuni casi palesemente confliggenti — con il nostro sistema costituzionale. Erodere il diritto di ognuno di noi, vuol dire iniziare a fare oscillare il pendolo della democrazia, facendo perdere a questa certezza e stabilità. Gli attacchi alla difesa, o alla indipendenza della magistratura, così come alla eguaglianza di fronte al giudice, sono realtà che possiamo toccare con mano in Paesi anche molto vicini a noi. Ricordiamocelo tutti. Ricordiamocelo come avvocati. Noi siamo chiamati a custodire i diritti fondamentali e le libertà, tra queste certamente anche quella della magistratura.

Se lo ricordino i magistrati, che dovrebbero realizzare in maniera definitiva e matura come gli attacchi all’autonomia della Difesa vadano a minare la loro stessa indipendenza. Avvocatura e magistratura devono essere consapevoli che sulla loro indipendenza non può scendersi a compromessi, non difenderla reciprocamente vorrà dire votarla a un inevitabile indebolimento. Vorrà dire minare le fondamenta dell’Ordinamento democratico a salvaguardia di tutte le libertà fondamentali dei cittadini, e, quindi, dello Stato di diritto. I principi di cui sopra sono stati la stella polare che ha guidato il Consiglio Nazionale Forense, attraverso il coinvolgimento di tutti i suoi componenti, nella elaborazione del progetto.

*Di Francesco Napoli, Coordinatore Proposta CNF per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza