Riccardo Polidoro, responsabile Osservatorio carcere dell’Unione Camere penali: Davigo quasi ridicolizza quell’allarme sovraffollamento per il quale Rita Bernardini mette a rischio la propria vita. Ma non è che Davigo andrebbe ringraziato, visto che le sue considerazioni confermano come la visione del carcere sia basata, quasi sempre, sulla mancata conoscenza di quella realtà?

Non so che esperienza concreta abbia Davigo del carcere, se abbia mai visitato istituti con indice altissimo di sovraffollamento, se abbia visto le vergognose e direi drammatiche condizioni della maggior parte delle camere di pernottamento dei detenuti nel nostro Paese. Se ha mai detto o scritto, perché certamente lo sa, che in quelle stanze, comunemente definite celle, i detenuti dovrebbero solo dormire, passando il resto della giornata in attività cosiddette rieducative, come è previsto dalla nostra Costituzione. Leggere quanto riportato nel suo articolo non mi ha meravigliato, conoscendo altre sue dichiarazioni, come quella sulla presunzione di “colpevolezza” anziché di innocenza degli indagati o addirittura dei cittadini, anch’essa a mio avviso contraria ai principi costituzionali. Il suo articolo è offensivo non solo verso Rita Bernardini e tutti coloro che stanno praticando lo sciopero della fame a staffetta, e l’Osservatorio carcere Ucpi è tra questi, ma anche verso chi da sempre, e oggi più che mai, si preoccupa della salute dei detenuti. I detenuti possono essere privati della libertà, ma devono scontare la pena, secondo quanto previsto dalla legge e preservando la loro dignità. Tutto questo non avviene nella maggior parte degli istituti di pena del nostro Paese.

Davigo ha citato quasi come un lusso l’obbligo di prevedere 9 metri quadri per ogni detenuto.

Sui 9 metri quadri poi c’è da chiarire che questo parametro, indicato dal ministero della Giustizia, non può essere applicato al carcere, perché è un valore che interessa le private abitazioni per il requisito di abitabilità. Come si può pensare che la stanza dove vivono più persone, spesso 22 ore al giorno, possa essere paragonata a un appartamento? Voglio ricordare che per la Corte europea dei Diritti dell’Uomo lo spazio vitale è quello di tre metri quadri. Lo ha stabilito con la sentenza Sulejmanovic e lo ha confermato con la Torreggiani, con cui ha condannato l'Italia per sovraffollamento delle carceri, stabilendo il limite fra la detenzione umana e quella degradante.

Il tema della reale conoscenza della realtà carceraria è caro all’Ucpi e a lei in particolare. Anni fa organizzò a Napoli la simulazione di una cella, per aiutre i cittadini a capire: come andò quell’esperienza?

Fu bellissima. Portammo, devo dire con la collaborazione del Garante dei detenuti e del Provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria, un prefabbricato, identico a una stanza di pernottamento, nel cosiddetto salotto di Napoli, cioè Piazza dei Martiri. Nella stanza c’era una clessidra e le persone restavano rinchiuse per un minuto. L’iniziativa prese appunto il nome “Detenuto per un minuto” ed ebbe grande successo, c’era la fila per entrare. Avemmo la sensazione che, finalmente, le pene del carcere, quelle non previste dalla legge, ma inflitte contro di essa, arrivavano all’opinione pubblica. Ecco, quello che davvero manca è un carcere trasparente, per far conoscere a tutti quello che avviene dentro le mura. Mi chiedo sempre perché il cittadino si preoccupi che gli ospedali e le scuole funzionino ma ignora o dimentica le condizioni delle carceri, che pure rispondono a un’esigenza collettiva, che non deve essere solo quella di punire, ma anche di rieducare come previsto dalla nostra Costituzione.

Ha visto dei passi in avanti, nella consapevolezza collettiva sul carcere, grazie alle battaglie condotte in questi anni dall’avvocatura?

Passi in avanti ce ne sono stati. Ragionerei al contrario, però: cosa sarebbe ora il carcere senza le battaglie dell’avvocatura, dei Radicali, delle associazioni. Senza i volontari che quotidianamente si occupano di quelle poche attività che si svolgono in carcere. Gli interventi della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, della Corte costituzionale, sono dovuti alle battaglie di coloro che credono nei valori della Costituzione e non intendono tradirla. Gli Stati generali dell’esecuzione penale, le commissioni ministeriali per la riforma dell’Ordinamento penitenziario, sono stati passi importanti. Ma il loro cammino è stato bruscamente interrotto da una politica cieca e interessata solo al consenso popolare, di cittadini che, spiace dirlo, sono distratti da una voluta diseducazione di massa. Credo che prima di rieducare i detenuti, secondo quanto prevede la Costituzione, vadano educate le persone.

Torniamo a Davigo: la sua analisi pare una semplificazione liquidatoria. Dietro ci può essere anche un rifiuto della realtà? Certe tesi derivano anche dal timore che immergersi troppo nel dato reale ce ne farebbe scoprire la complessità?

Il carcere è un mondo certamente complesso. Ma ripeto, non più della scuola o della sanità. Il problema non è Davigo. Certo, va evidenziato come di questa complessità si occupi poco la magistratura associata, che interviene raramente sul tema. La preoccupazione è che abbiamo una Carta che è del 1948, un Ordinamento penitenziario del 1975, eppure le loro norme non trovano concreta applicazione nell’esecuzione delle pene. In proposito vorrei ricordare che la Costituzione si riferisce alle “pene” per i condannati: ciò sta a significare che il carcere non è l’unica pena che può essere scontata, ma ve ne sono anche altre, tra cui le stesse misure alternative, che sono esse stesse delle pene e alle quali andrebbe mutato il nome da misure a “pene alternative”. Sarebbe utile a chiarire meglio il concetto a chi, in maniera impropria, cita il principio di certezza della pena: non sta a significare che questa certezza debba essere solo il carcere.

Perché non ci si rende conto che, in tempo di covid, il sovraffollamento è un’offesa al principio di umanità, un’assurda illegalità compiuta dallo Stato?

I detenuti, come tutte le persone che entrano ed escono dal carcere per ragioni di lavoro, gli stessi familiari, dovrebbero essere tra le categorie privilegiate rispetto ai tempi del vaccino. Andrebbe garantita la priorità che viene indicata giustamente per medici, personale sanitario e anziani in case di riposo. Non si tratta di tutelare solo loro, ma tutto il Paese, in quanto il carcere è un luogo in cui il virus si propaga, viste le già precarie condizioni igieniche e di promiscuità, e può poi uscire all’esterno. Come Osservatorio Ucpi abbiamo continuamente notizie di contagi, tra detenuti e personale dell’Amministrazione penitenziaria. Mi lasci dire che mai come in questo momento storico, e mi riferisco a quanto di grave è accaduto a Washington al Capitol Hill, i principi costituzionali devono essere il faro per illuminare la democrazia di un Paese. E ciò vale anche per il carcere.