Si dice che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni, e sul carcere di belle parole ne abbiamo sentite sempre tante.

Solo il Partito radicale, proseguendo l’azione di Marco Pannella, non ha mai smesso di lottare per assicurare una vita dignitosa ai detenuti, ma anche a tutto il personale e ai volontari che operano negli ambienti carcerari. Rita Bernardini e gli altri esponenti radicali ogni giorno sono in contatto con chi è in carcere e con le loro famiglie. Sono instancabili nel sollecitare un cambio di passo nel rispetto dell’articolo 27 della Costituzione. Così come va menzionata l’azione costante del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e quella dei garanti territoriali. Ma nulla si muove.

Eppure a ottobre 2013 era intervenuto il Quirinale con il messaggio dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Parlamento, nel quale denunciava il grave sovraffollamento e chiedeva misure deflattive, compresi l’indulto e l’amnistia. Dopo sei mesi, nel 2014, l’altra sollecitazione, in occasione dello sciopero della sete di Marco Pannella sospeso dopo una telefonata di papa Francesco, con la quale Napolitano chiedeva alla Camere una verifica «sulle misure adottate e da adottare, anche in ossequio alla nota sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo».

Nel 2016 ci sono stati anche il Giubileo dei detenuti e la quarta Marcia per l’Amnistia intitolata a Marco Pannella e Papa Francesco, al quale fu consegnato un libro con le firme di ventimila detenuti. E poi tanti scioperi della fame di Rita Bernardini e di altri esponenti del Partito radicale, ai quali hanno aderito migliaia di reclusi, le loro famiglie, giuristi, intellettuali e liberi cittadini. E ancora, le visite periodiche nelle carceri italiane, e quelle di Ferragosto, Natale, Capodanno e Pasqua diventate ormai storiche, oltre che irrinunciabili.

Nella precedente legislatura si celebrarono addirittura gli Stati generali, con una serie di tavoli tematici, per mettere a punto una riforma organica del sistema carcerario. Sembrava fatta e invece l’avvicinarsi delle elezioni e la montante onda populista spaventarono l’allora segretario del Pd Matteo Renzi, e quella riforma, che avrebbe consentito al sistema carcerario un passo notevole verso la civiltà e il rispetto delle regole, rimase nel cassetto. Ogni tanto qualche organo di informazione scopre che esistono il carcere, il sovraffollamento, le carenze sanitarie, i maltrattamenti. Noi nel nostro piccolo dal primo numero del Dubbio quotidianamente seguiamo e documentiamo con la nostra pagina Lettere dal carcere, curata dall’ottimo Damiano Aliprandi, tutto quello che avviene nell’universo penitenziario. Denunciamo spesso criticità e incongruenze. Come nel caso della vicenda della fornitura dei braccialetti elettronici: dagli articoli pubblicati su queste pagine sono venute una interrogazione e un’interpellanza del deputato di Italia Viva Roberto Giachetti.

Con il Covid la condizione di precarietà del sistema carcerario è peggiorata. L’umanità e la solidarietà nei confronti di chi vive recluso — spesso in situazioni di degrado umane e sanitarie — che sarebbero dovute naturalmente scattare nel popolo del “ce la faremo”, sono state sovrastate dalla ferocia giustizialista. È partita una campagna mediatica contro i provvedimenti dei magistrati di sorveglianza, rei di aver accolto le istanze di chi era incompatibile con il regime carcerario e aveva perciò chiesto di poter scontare la pena in regime di detenzione domiciliare. Si è addirittura parlato, dopo le proteste in alcuni istituti penitenziari che hanno causato decine di vittime e violente ritorsioni, di una nuova “trattativa” tra i boss mafiosi e lo Stato. Il capo del Dap è stato costretto alle dimissioni, ma chi l’ha sostituito non ha potuto fare altro che prendere atto della difficile situazione e sollecitare misure per ridurre la popolazione carceraria. E così nel decreto Ristori bis è stata inserita la proroga al 31 gennaio 2021 della possibilità di ottenere gli arresti domiciliari per chi ha ancora 18 mesi di pena da scontare, e di restare fuori dal carcere fino a quella data per chi gode di permessi premio o di lavoro.

Nella prima ondata della pandemia hanno perso la vita 4 reclusi morti, mentre nella seconda siamo arrivati a una decina di decessi, senza dimenticare gli agenti e i medici penitenziari che non ce l’hanno fatta. Anche Giancarlo Coraggio, 44esimo presidente della Corte costituzionale, appena eletto ha detto che «servono interventi strutturali, ma questo è il caso classico di un problema politico nel senso più alto del termine».

Già la politica. Lo stesso Franco Mirabelli, vicepresidente dei senatori Pd, in una garbata lettera al Dubbio, ha dovuto ammettere: «Potevamo e volevamo di più, ma l’opposizione della destra, che agita irresponsabilmente la sua propaganda, e la contrarietà del M5S ad alcune nostre proposte hanno impedito un risultato migliore». Mentre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha ricevuto Rita Bernardini, che ha interrotto l’ennesimo sciopero della fame dopo 36 giorni, al quale hanno aderito Luigi Manconi, Sandro Veronesi, Roberto Saviano, 202 accademici e professori di diritto penale, 3.600 detenuti e 650 cittadini liberi, tra cui molti parenti di reclusi, soprattutto mogli, e avvocati.

Bernardini e Conte si sono lasciati con l’impegno del premier di affrontare la questione con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. La leader radicale, comunque, abituata ai riti e alle promesse della politica, ha ribadito di aver solo sospeso lo sciopero della fame, pronta insieme a tanti altri a riprendere la lotta non violenta.