Condannare Virginia Raggi a 10 mesi di reclusione. È questa la richiesta del sostituto procuratore generale Emma D’Ortona al processo d’Appello che vede imputata la sindaca di Roma per falso in relazione alla nomina di Renato Marra (fratello dell'ex braccio destro della prima cittadina Raffaele, allora capo del Personale) a capo del Dipartimento Turismo del Campidoglio. «La sindaca conosceva la posizione di Raffaele Marra, e ha omesso di garantire l’obbligo che Marra si astenesse nella nomina del fratello Renato», dice il pg nella sua requisitoria, alla presenza di Raggi, accompagnata dagli avvocati Pierfrancesco Bruno, Alessandro Mancori ed Emiliano Fasulo. «Ha errato il primo giudice nel voler trasformare un’indagine documentale in un processo fondato su prove dichiarative», aggiunge il procuratore generale, chiedendo la condanna della sindaca, assolta in primo grado con la formula «perché il fatto non costituisce reato». Un'eventuale condanna dell'esponente grillina aprirebbe nuovi scenari per il futuro politico della Capitale, visto che, in base alle regole penta stellate, la prima cittadina dovrebbe rinunciare a una nuova candidatura, come accaduto a Chiara Appendino. Ma le regole, si sa, in casa M5S, possono essere sempre modificate per tutelare qualche big. Così il partito si spacca. Da un lato l'ala movimentata, capitanata da Alessandro Di Battista, che manifesta solidarietà totale a Raggi con un post su Facebook: «Coraggio grande Donna, da parte di tutta la nostra famiglia!», scrive il leader ortodosso postando una foto della sindaca a casa sua, con la sua famiglia. Persino Beppe Grillo esterna il proprio apprezzamento per l'operato di Virginia. Ma dall'altro, l'ala governata, guidata in questo casa dalla storica nemica della prima cittadina, Roberta Lombardi: «Dimissioni Raggi in caso di condanna? Dico che esiste un codice etico e che le regole si applicano erga omnes, non si interpretano per gli amici», dice la capogruppo M5S in Consiglio regionale. Per capire cosa accadrà bisognerà aspettare ancora qualche ora, quando il giudice pronuncerà una sentenza.