La crisi del secondo governo Conte è a un passo. Non oggi, nel temuto voto sul Mes, che si rivelerà salvo sorprese meno scivoloso del previsto. Non in questo mese sul disegno di governance del Recovery Plan italiano, al secolo la cabina di regia, perché, sempre salvo possibili precipitazioni, la sfida vera verrà rinviata soprassedendo sul progetto del premier di inserire la sua cabina di regia nella legge di bilancio, con apposito emendamento cotto e mangiato. Ma in gennaio e non su questo o quel capitolo specifico ma a tutto campo, sugli equilibri e gli indirizzi di governo, sulla sua composizione, forse anche sulla sua guida.

Il cdm che avrebbe dovuto varare il Recovery Plan, ieri, è stato sconvocato all'ultimo secondo dopo che Renzi aveva sparato a zero: «Non concederemo mai i pieni poteri a Conte. Temo che sia rottura». In ballo c'è la decisione di Conte di affidare la gestione dei fondi del Recovery a un comitato esecutivo formato da se stesso e dai due ministri più direttamente interessati, Gualtieri per l'Economia e Patuanelli per lo Sviluppo e 6 manager scelti da palazzo Chigi, a cui la struttura, con 300 consulenti assunti, farebbe anche capo. E' un progetto che al Pd piace tanto poco quanto a Renzi, ma i democratici non vogliono che la loro posizione sia appiattita su quella del loro ex segretario. Tenteranno di mediare tramite provvidenziale rinvio: cabina di regia sì per ora. Però non nella legge di bilancio ma con un apposito decreto in modo da ridiscutere tutto in gennaio.

La sfida sul Mes di oggi è stata depotenziata nei giorni scorsi. Parecchi ribelli sono stati convinti a ripensarci agitando lo spettro di un temuto ritorno a casa, con crisi e scioglimento delle camere. I rinforzi in arrivo dalle file forziste o ex forziste sono cospicui, una decina di senatori. Sulla necessaria maggioranza relativa a favore della risoluzione che approva le comunicazioni del premier non dovrebbero esserci dubbi. Sulla maggioranza assoluta, non necessaria ma politicamente significativa invece sì. Molto dipende dalla possibilità di recuperare per intero il dissenso dei 5S. Il Movimento propone una mozione unitaria che da un lato mette nero su bianco quel che era già sancito, la garanzia che il Parlamento voterà su un eventuale richiesta di accesso al prestito sanitario di 37 mld ( e stanti i rapporti di forza boccerà l'eventuale richiesta. Più spinoso il passaggio che impegna il governo a lavorare di qui alla ratifica della riforma, tra un anno, per un'approvazione del “pacchetto” che aggiunge alla riforma del Mes l'Unione bancaria e la garanzia sui depositi, pena la negazione della ratifica. Era chiaro dall'inizio che proprio la necessaria ratifica a un anno dalla forma sarebbe stata adoperata da Conte come argomento forte per chiedere un voto comunque non definitivo. Qualche problema, soprattutto con i renziani, potrebbe però crearlo l'impegno formale a non ratificare la riforma senza il varo assai improbabile dell'intero pacchetto.

Ma il problema non è la gestione del Recovery in sé o il Mes. Il problema è Conte e il suo modo di intendere il governo, con tutto centralizzato nelle sue mani. La vera posta in gioco nella sfida di gennaio sarà proprio il ridimensionamento, e forse il licenziamento, di Conte. Lo stesso Colle, che pure difende il premier a spada tratta, deve prendere atto della necessità di un “chiarimento” perché nessuno può governare contro la maggioranza che lo appoggia. Il rischio di crisi si correrà allora, perché Conte, almeno per ora, non è disposto a cedere un palmo e tanto meno ad accettare un rimpasto radicale che sarebbe finalizzato proprio a circoscrivere il suo ruolo e il suo potere. A mezza bocca anche nel Pd ammettono che, senza un “cambio di passo” del premier la possibilità di un ricambio a palazzo Chigi diventerebbe concreta.

Se si arriverà davvero alla crisi Mattarella continua a far sapere che non esiterà a sciogliere le camere in tempi brevissimi. E' uno scudo per Conte ma è anche un monito preciso. Se i leader della maggioranza vogliono cambiare le cose, sia in termini di maggioranza che di composizione del governo che di premiership, devono avere un accordo solido a priori. Una crisi al buio, con settimane di vacanza di governo nel tentativo di inventarsi una qualche formula, non sarebbe accettata da Mattarella. Ma se Zingaretti, Di Maio e Renzi si presenteranno con un accordo, una formula diversa e una maggioranza certificata il presidente non lo ostacolerà.