L’Ennesima conferenza stampa all'ora di cena di Giuseppe Conte, ripropone il tema del tipo di comunicazione del presidente del Consiglio italiano. Siamo passati da una fase paternalistico-populista, da "avvocato del popolo", a quella latamente sovietico- autoritaria, da capo del governo (nell'accezione appunto autoritaria del termine) che in in modo o nell'altro non viene messo mai in difficoltà.

È probabile - come ha detto Gaia Tortora - che la comunicazione del premier "non funziona più" e forse proprio per questa involuzione burocratica che lo salva da possibili gaffe ma lo allontana dal sentire dell'opinione pubblica. Come avveniva in Unione sovietica. C'e però molto da riflettere per noi giornalisti, più o meno consapevoli della loro partecipazione a questa deriva.

Forse è venuto il momento di dire basta a queste finte conferenze stampa del presidente del Consiglio, a questi farseschi briefing in notturna, di dire basta a questo fastidioso rito parademocratico fatto di innocue domandine e risposte vacue. Basta. Per non assecondare il neo- autoritarismo di Conte bisognerebbe organizzare conferenze stampa vere, a un orario che consenta di non farne uno spot per il premier, con giornalisti di esperienza che non facciano sconti, che replichino, interrompano, discutano.

Ci vada qualche direttore, ci vada qualche grande firma, a palazzo Chigi. Qualcuno dice persino che queste cosiddette conferenze stampa siano di fatto sceneggiate in anticipo dal regista di palazzo Chigi, Rocco Casalino, che, alla stregua di Alfred Hitchcock che appariva per qualche attimo nei suoi film, gestisce il set di palazzo Chigi cedendo la parola ai cronisti, e addirittura che le domande siano almeno in parte concordate: ma non vogliamo crederlo.

Casalino fa il suo mestiere, d’altra parte: meno domande politiche ci sono meglio è. Ma nell’ultima “conferenza stampa”, quella di giovedì sera, si è toccato il fondo. Ci fosse stato un collega che abbia “ricordato” al premier che c’erano stati mille morti ( già, bisognava ricordaglielo perché egli non ne aveva fatto menzione, denotando una superbia e un cinismo da dittatore indonesiano), ci fosse stato un collega che gli avesse chiesto del penoso slabbramento della sua maggioranza, no, meglio farlo parlare ( dietro richiesta?) dell’inutile storia della fidanzata e della scorta, tema di cui non frega niente a nessuno, tantomeno nel giorno dei mille morti. Un teatrino, uno spot, uno show.

La questione se la devono porre i direttori dei giornali, che non si capisce perché non mandino i loro redattori migliori, e anche l’Associazione stampa parlamentare, che deve vigilare affinché non ci siano discriminazioni verso alcune testate e tantomeno “accordi” con l’ufficio stampa di palazzo Chigi sulle domande da porre al presidente del Consiglio. Così come dovrebbe essere consentito ai giornalisti, se fosse il caso, di replicare al premier. Una conferenza stampa non è un comunicato stampa letto in televisione all’ora di cena. È un momento democratico che va valorizzato a scapito della nuova pratica sovietica ma sempre dolciastro di chi guida provvisoriamente il governo di questo Paese. Tutti noi dobbiamo fare autocritica, e provare a rimediare.