Scrisse una mail al Dubbio. Dopo quasi un anno e mezzo possiamo raccontarlo. L’avvocato di Rosario Greco, l’uomo alla guida del suv che falcidiò i piccoli Alessio e Simone, si vide assediato dall’indignazione dei suoi stessi colleghi. Dopo la devastante tragedia dei due bimbi falciati a Vittoria, in Sicilia, il penalista dovette fare i conti con l’estremo auspicio di diversi esponenti dell’avvocatura ragusana, e non solo, che nessuno fosse disposto a difendere Greco. Lui, quasi con timidezza, arrivò a ringraziare il Dubbio che aveva affrontato in un articolo l’impossibilità di subordinare il diritto di difesa a qualsivoglia eccezione: «Il vostro commento, da solo, è stato sufficiente a restituirmi quella serenità professionale che parte dell’opinione pubblica e alcuni colleghi hanno cercato di mettere in discussione», scrisse.

Ebbene, la questione non riguarda solo il codice deontologico, che lascia al difensore la libertà di sottrarsi a uno specifico patrocinio. Casomai si tratta di comprendere il valore politico e civile della battaglia per il diritto di difesa, che poi è la missione straordinaria caduta sulle spalle dell’avvocatura in questo tempo paradossale.

Da anni in circola in Italia un virus, forse meno mortale di quello che speriamo venga debellato presto ma non meno devastante: il giustizialismo. Nel rifiutarlo, nel battersi affinché anche al più feroce dei “mostri” venga assicurato il diritto alla tutela in giudizio, l’avvocatura non esalta solo il valore della propria funzione: rende un solenne omaggio alla democrazia. Massacrare l’indagato o l’imputato, negare il diritto di difesa, se non di parola, al farabutto, al farabutto potente, è la malattia che delegittima la politica, e che così disarma i cittadini al cospetto di altri poteri. È, in ultima analisi, il segreto dell’anticasta. Il populismo anticasta è proprio fatto di questo: di delegittimazione preventiva della classe politica, realizzata attraverso il pregiudizio sulla sua necessaria e intrinseca disonestà.

L’intera democrazia rappresentativa: ecco il vero bersaglio. Di volta in volta condannata dal caso singolo del presunto corrotto. Poi, per estensione, l’ignominia della colpevolezza “a prescindere”, che non richiede processi, è estesa anche ad altre tipologie di indagati. A persone accusate di reati che non c’entrano con la politica, la pubblica amministrazione o la corruzione. Ma in fondo il giustizialismo panpenalista che criminalizza i presunti responsabili di omicidi, come i presunti autori di altri reati violenti, rappresenta solo un riverbero di quella caccia alle streghe tutta rivolta verso la politica e le istituzioni. Una tempesta d’odio e di ansia punitiva perfettamente in grado di spogliare le istituzioni della loro autorevolezza. Di spianare un deserto in cui sciamano altri poteri, non controllabili attraverso il principio di rappresentanza.

Nella meccanica feroce del giustizialismo, l’avvocatura è l’unico granello di sabbia in grado di far saltare l’ingranaggio. Perché l’avvocatura, con le proprie battaglie, incide sullo snodo decisivo in cui tutto il marchingegno populistico- giustizialista può finire sbriciolato: il diritto di difesa. Se spetta a tutti, non ci sono “colpevoli a prescindere”, ma solo presunti innocenti. E se tutti, prima del processo, sono presunti innocenti, la menzogna della casta cattiva o dei mostri infiltrati come alieni nella comunità degli onesti cade come un castello di carte false.

Certo, l’avvocatura deve fare i conti con pericoli. Con minacce. Favorite dal web, dal suo linguaggio apodittico, dalla sua dialettica senza regole. Ne sanno qualcosa professionisti come quelli che a Pomezia hanno assunto la difesa dei presunti omicidi di Willy, il ragazzo morto col torace sfondato dalle botte per aver detto “ah”. Quei penalisti sono stati minacciati di morte. Non sono certo i primi. E in casi simili la battaglia degli avvocati deve farsi più intensa, ed è più difficile. Perché la gravità delle accuse, e delle condotte eventualmente accertate da un processo, è carburante per i professionisti della giustizia sommaria. Vale lo stesso nei casi in cui il penalista assiste indagati o imputati di mafia: casi in cui pure si realizza l’assurda e perfida sovrapposizione tra la figura dell’avvocato e il reato contestato al suo cliente: è l’arma letale dei giustizialisti, Ma nelle loro mani, gli avvocati hanno un’altra arma, forse imbattibile: i secoli di civiltà dietro le loro spalle, la forza della ragione su cui si basa il principio della democrazia e del rispetto dei diritti. L’avvocatura ha la missione di restituire ai cittadini la civiltà del diritto, e con essa, in ultima analisi, il principio di rappresentanza su cui si basano le nostre democrazie, la verità delle nostre stesse vite.