Le misure di emergenza nazionali rappresentano un «rischio di abuso di potere» e qualsiasi restrizione che riguardi democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali deve essere «necessaria, proporzionale e limitata nel tempo». A sottolinearlo è la commissione parlamentare Ue per le libertà civili, che venerdì ha presentato una risoluzione ai parlamentari europei nella quale si richiedono «controlli adeguati ed equilibri parlamentari e giudiziari».  Nella risoluzione viene evidenziato che anche in uno stato di emergenza «i principi fondamentali dello Stato di diritto, della democrazia e del rispetto dei diritti fondamentali devono prevalere». La Commissione Ue critica anche, tra le righe, il ricorso continuo ai dpcm, che in Italia ha caratterizzato soprattutto la prima fase dell’emergenza: le misure straordinarie dovrebbero, infatti, «essere accompagnate da una più intensa comunicazione tra governi e parlamenti», evitando provvedimenti repressivi e assicurando un accesso senza ostacoli all'informazione per i giornalisti. Il rischio, secondo l’Ue, è che la pandemia diventi una scusa per scavalcare il controllo del Parlamento, approvando, dunque, norme non direttamente legate all’emergenza, con in più l’effettivo pericolo di limitare lo Stato di diritto o i diritti fondamentali. Da qui l’invito ai Paesi membri a considerare la possibilità di uscire dallo stato di emergenza o di limitare in altro modo il suo impatto sulla democrazia, prevedendo migliori «garanzie», attraverso un atto legislativo che stabilisca gli obiettivi, il contenuto e la portata della delega di potere dal legislativo all'esecutivo. Un’eventuale dichiarazione o proroga dello Stato d’emergenza, per l’Ue, deve passare dunque da un controllo parlamentare e giudiziario, assicurando ai parlamentari «il diritto di sospendere lo stato di emergenza». Nel caso in cui, invece, i poteri legislativi vengano trasferiti al governo, è necessario, comunque, un successivo controllo parlamentare degli atti, senza il quale cessano di avere effetti. La Ue sottolinea che la crisi pandemica ha influenzato, con le restrizioni che ha prodotto, i sistemi giudiziari, con la chiusura temporanea di numerosi tribunali o la riduzione delle loro attività, «cosa che si è in alcuni casi tradotta in ritardi e tempi di attesa più lunghi per le udienze». I diritti procedurali degli indagati e il diritto a un giusto processo sono, dunque, «sotto pressione, poiché l'accesso agli avvocati è diventato più difficile a causa delle restrizioni generali e perché i tribunali fanno sempre più spesso ricorso alle udienze online». Da qui l'invito agli Stati membri a garantire i diritti degli imputati, «compreso il loro libero accesso a un difensore, e a valutare la possibilità di udienze online come soluzione e alternativa alle udienze in tribunale o al trasferimento degli indagati in altri Stati membri dell'Ue nell'ambito del mandato d'arresto europeo». È importante, soprattutto, il rispetto di tutti i principi che disciplinano i procedimenti giudiziari, compreso il diritto a un processo equo e a tutelare «i diritti e la salute di tutte le persone in carcere, in particolare i loro diritti all'assistenza medica, ai visitatori, al tempo all'aperto e alle attività educative, professionali o ricreative». Un altro rischio è una limitazione eccessiva alla libertà di circolazione, così come a quella di riunione, da limitare «solo se strettamente necessario e giustificabile alla luce della situazione epidemiologica locale e ove proporzionato», con l'invito a non utilizzare il divieto di manifestazioni per adottare misure controverse, anche se non correlate alla Covid-19, che meriterebbero un adeguato dibattito pubblico e democratico». Ma non solo: è necessario anche «garantire pienamente l'accesso a una procedura di asilo e a preservare il diritto individuale all'asilo, come sancito dalla Carta dei diritti fondamentali, e ad attuare procedure di reinsediamento e di rimpatrio dignitoso nel pieno rispetto del diritto internazionale». Senza dimenticare che, secondo la risoluzione, il periodo di crisi legato alla pandemia ha provocato un aumento della discriminazione e dei discorsi di incitamento all'odio e di misure discriminatorie, contro i quali gli Stati membri sono invitati a mettere in atto azioni di contrasto. In particolare, l’Ue segnala i casi di discriminazione ai danni di rom e omosessuali, da qui l’invito agli Stati «a proseguire gli sforzi per combattere l'omofobia e la transfobia, dal momento che la pandemia ha esacerbato la discriminazione e le disuguaglianze di cui le persone Lgbti + sono vittime».