Le promotrici  del  Protocollo Napoli (Linea guida dell’ordine degli psicologi della Campania- più di 7000 iscritti- sulle  CTU nel solco della Convenzione di Istanbul) intendono qui segnalare le posizioni emerse e portate all’attenzione dei mass media da 100 e più professionisti, aderenti o sostenitori dell’Associazione italiana dei consulenti psico-forensi (AICPF), in un documento intitolato Memorandum,  pubblicizzato sui media e indirizzato pubblicamente alla Commissione Femminicidio al Senato. Nel Memorandum rimarchiamo alcuni temi che consideriamo pericolosi per le prassi giudiziarie, in quanto rischiano di provocare un disallineamento dei Tribunali civili e dei Tribunali per i minorenni rispetto alle leggi nazionali e alle Convenzioni internazionali.. Sulla bigenitorialità come diritto Dicono gli psicologi forensi nel memorandum: “la bigenitorialità È un principio acquisito e anche un grave conflitto tra i genitori non fa venir meno il diritto dovere di entrambi gli ex coniugi o ex partner di svolgere il proprio ruolo genitoriale”. Già ma ciò non vale se il conflitto non è tale e se dietro di esso si vuole nascondere la violenza domestica.  Ribadiamo, visto che l’argomento è di fondamentale importanza, che le leggi in vigore (la legge 54/2006 e non la ’64 - come riportato dal Memorandum - e gli art. 330; 333; 337 quater c.c.) e le convenzioni  internazionali sul diritto dei minori non individuano la bigenitorialità come un diritto primario e incontrovertibile del minore e/o degli adulti bensì come un diritto che trova il suo limite nei pregiudizi che il suo esercizio può arrecare al minore. Tra questi pregiudizi è essenziale inserire gli esiti sulla salute dei figli derivati - secondo l’OMS e i maggiori organismi internazionali - dal maltrattamento assistito, conseguente al maltrattamento e alla violenza sulle madri. In caso di maltrattamento assistito è necessario ricorrere, senza se e senza ma, all’affido esclusivo (o altra misura di tutela per la coppia madre-bambino) in capo alla madre vittima di violenza (art. 26, 31 e 56 a della Convenzione di Istanbul). I criteri e costrutti psicologici proposti riguardo alle decisioni sull’affido dei figli A discendere dal diritto alla bigenitorialità, malinteso e considerato incontrovertibile, il memorandum fa riferimento a due costrutti di tipo psicologico privi di valore scientifico che, se applicati, inquinano il procedimento giudiziario relativo all’affido in caso di violenza domestica: l’accesso del genitore ai figli minori e la diagnosi di “alienazione parentale” in capo al genitore che non favorisce l’accesso. 1. Si dice nel memorandum  a proposito del criterio dell’accesso: “È un principio acquisito che indica che  va preferito per l’affidamento il genitore che favorisca il rapporto del figlio con l’altro genitore”.  Il criterio dell’accesso deriva dal sistema giudiziario dei paesi anglosassoni e ha avuto alterne vicende. Attualmente è generalmente rigettato nei casi in cui nei procedimenti si individua la violenza domestica. Altrimenti denominato “friendly parent” (il genitore amichevole) esso definisce come genitore positivo ed adeguato colui o colei “che contribuisce attivamente al mantenimento del rapporto fra la prole e l’altro genitore non convivente”. A contrario abbiamo la definizione di genitore ostile, malevolo e alienante. Esso è un concetto inapplicabile in caso di violenza perché delegittima alla radice il ricorso delle donne al giudice penale. Il paradosso consiste, allora, nel fatto che una donna - la quale abbia denunciato una violenza o abbia descritto con prove documentali una storia di violenza - quando chiede l’affido esclusivo o altra misura di protezione, è immediatamente individuata come “genitore non amichevole” (d’altra parte, se ha denunciato, come può essere amichevole?). Data la premessa (l’unico genitore buono è il genitore amichevole perché favorisce l’accesso alla relazione con i figli da parte del genitore non convivente) la conseguenza è che la donna/madre che denunci le violenze del partner non possa che essere “alienante”, e perciò messa sotto accusa nel processo civile. È di tutta evidenza che ciò determina una distorsione, anche sul piano della logica, così rilevante da rischiare non solo di affossare tutto il sistema legislativo sull’affido, per contraddittorietà e incoerenza interna, ma anche di rendere inutile il raccordo, previsto dalla normativa, tra giustizia penale e civile in materia di violenza sulle donne e in presenza dei figli minori che vi assistono. Oggi possiamo costatare che basta il riferimento al criterio dell’accesso per emettere sentenze che sottraggono la competenza genitoriale e l’affido dei figli a madri definite “not friendly” - dunque “alienanti”. 2. Per quanto riguarda la diagnosi della sindrome di alienazione parentale ( PAS), nel memorandum oggi si riconosce che: Il concetto di “sindrome” è dunque improprio, non trattandosi di una malattia ma di una disfunzione della relazione”. Oggi non si parla più di “sindrome” o “patologia” ma di “comportamenti alienanti” alla stregua dello stalking e del mobbing. Ebbene alla base dello stalking e del mobbing, comportamenti fattuali dimostrabili, non ci sono malattie, interpretazioni psicologiche e profili di personalità che debbano accertare l’esistenza dei fatti. I comportamenti lesivi si accertano con attività istruttorie, testimonianze e prove, e non con gli strumenti interpretativi delle scienze psicologiche che si sovrappongono e addirittura si sostituiscono alla valutazione del giudice. Se dunque, com’è stato affermato, non si parla più di PAS come malattia allora il ruolo degli psicologi e degli psichiatri nei procedimenti per l’affido va drasticamente ridimensionato. Questo cambiamento di prospettiva, tuttavia, è solo formale. Infatti, i presupposti e le conseguenze trattamentali di questa “sindrome” non riconosciuta sopravvivono tal quali nelle consulenze, che utilizzano oggi una varietà di modi per codificare i comportamenti madre-bambino riconducibili con altri termini agli assunti della PAS come ad esempio conflitto di lealtà, attaccamento simbiotico ecc.. e che negano sempre e comunque che vi sia violenza domestica sostituendo ad essa il termine edulcorato e bipartisan di ‘conflittualità’. Ma ciò che preoccupa maggiormente per i bambini è la sopravvivenza del trattamento violento riconducibile al teorico della PAS, Richard Gardner presente negli scritti degli psicologi forensi aderenti all’ AICPF.  Di tale tipologia di trattamento si parla  in un documento del 2017: “ Buone prassi giudiziarie e psicosociali in favore della bigenitorialità” .Il trattamento da loro previsto, quando vi è un genitore presunto alienato inquanto rifiutato dal bambino, è rappresentato dall’immediato allontanamento del bambino dal genitore collocatario (in genere la madre presunta manipolatrice e alienante), con, se necessario, una fase di transizione presso una struttura in cui essere collocato senza poter più accedere al genitore con cui fino a quel momento è vissuto (in genere la madre). Si tratta di un trattamento altamente traumatico, spesso accompagnato da raccomandazioni sulla necessaria presenza di forze dell’ordine in previsione di ostacoli e resistenze all’allontanamento forzato, assimilabile a una gravissima violenza fisica e psicologica,  inferta in piena consapevolezza. È difficile comprendere come mai la magistratura, conceda e autorizzi sempre più di frequente la messa in atto di un simile trattamento, laddove esso dovrebbe essere previsto solo in casi eccezionali e alla presenza di rischi gravissimi, per salvaguardare il diritto alla vita e alla salute del bambino da un pericolo certo e imminente. Al contrario, questo trattamento è proposto quasi fosse di routine, e giustificato da un “rischio evolutivo” ipotetico e futuribile, che deriverebbe dalla mancata applicazione della bigenitorialità. Va da sé che strappare un minore che non presenta alcun rischio immediato, dal proprio ambiente, in cui è ben inserito e socializzato è indice di mancata aderenza alla propria deontologia professionale che prevede la salvaguardia della integrità e salute psicofisica delle persone e dei bambini in particolare. Per non parlare del principio ippocrateo Primum non nocere, che vale per tutte le professioni sanitarie. Tale trattamento abbiamo detto in più occasioni è contro il codice deontologico degli psicologi e dei professionisti della sanità ed è contro la legge sanitaria (833/78) perché equivale ad un TS0 (trattamento sanitario obbligatorio) strisciante. Infine i firmatari del Memorandum, sul tema della vittimizzazione istituzionale  delle donne che denunciano la violenza  non perdono l’occasione per “bacchettare” la Presidente della Commissione femminicidio quando scrivono: “Affermare dunque che la violenza indiretta sia equivalente a quella diretta non è solo un errore concettuale, ma è pericoloso per le sue conseguenze sotto il profilo della funzione deterrente: se, ad esempio, picchiare la moglie davanti al figlio equivale a picchiare anche il figlio, allora tanto vale estendere a quest’ultimo la stessa condotta”. E chiaro che questo è un tentativo di negare gli effetti patogeni del maltrattamento assistito, che è la fonte primaria o comprimaria (insieme all’incuria) del maltrattamento sui bambini, secondo quanto affermato da tutti gli organismi internazionali. Si vuole dire -si chiedono i professionisti del memorandum -  che se un padre picchia, maltratta, umilia la madre, alla presenza dei figli, picchia ecc. ecc. necessariamente anche i figli? Certamente non si dice questo, e con ciò  gli ‘ esperti del memorandum’ mostrano la loro totale ignoranza circa gli  esiti del maltrattamento assistito che sono equiparabili in tutto agli esiti, sulla salute dei bambini, del maltrattamento diretto. Il negazionismo che attraversa il Memorandum riguarda quindi sia il maltrattamento assistito (ignorando le ricerche e le proposizioni degli organismi internazionali, compreso l’OMS, che parlano dei suoi effetti gravi sulla salute del bambino) sia il suo presupposto, ovvero la violenza contro le donne che coinvolge il 30% delle donne che vivono o hanno vissuto  in coppia (WHO, 2013). Tale negazionismo, gravissimo per chi abita le aule dei tribunali e dovrebbe conoscere dati, leggi e convenzioni, porta i sottoscrittori del Memorandum addirittura a paragonare alle Brigate rosse donne, associazioni e le stesse istituzioni che si occupano di violenza contro le donne e di vittimizzazione primaria e secondaria “è pericoloso in un clima emotivamente acceso usare in modo improprio la parola violenza”, avvertendo: “Ricordiamo che le Brigate Rosse hanno ucciso e gambizzato dei dirigenti aziendali quale - a detta loro - “risposta” alla “violenza delle multinazionali”. Questo accostamento non può passare sotto silenzio, insieme a tutto il resto, e transitare attraverso i mass media senza che le organizzazioni degli psicologi, dei medici, degli avvocati e dei giudici ne prendano le distanze, condannando e censurando il Memorandum sia sul piano deontologico sia per i contenuti di sovvertimento di leggi e convenzioni che veicola. Napoli, 29 settembre 2020     Per il Protocollo Napoli:  Caterina Arcidiacono Antonella Bozzaotra Gabriella Ferrari Bravo Elvira Reale Ester Ricciardelli