Le personalità che segnano un'epoca storica presentano sempre troppe sfaccettature e hanno una biografia intellettuale troppo vasta perché se ne possa rendere per intero la complessità e la ricchezza se non in una corposa e approfondita biografia. Era dunque inevitabile che nel ricordo di Rossana Rossanda, probabilmente la più importante intellettuale italiana marxista, organizzato a Roma dal giornale che aveva contribuito a fondare sfuggissero una quantità di aspetti e altrettanto inevitabile è che quanti a quegli aspetti della sua azione politica e della sua riflessione sono invece particolarmente legati lamentino l'assenza almeno di una citazione. Ma questo tipo di "distrazioni" è invece nell'ordine delle cose. Il discorso è però diverso quando si parla non di aspetti minori, o periferici o comunque non centralissimi di una biografia ma, al contrario di elementi essenziali, fondamentale sia sul piano politico che su quello intellettuale. Non è dunque giustificabile, e forse neppure comprensibile, la superficialità con cui in quella celebrazione è stato trattato il fronte sul quale Rossana Rossanda si è spesa e battuta più che su qualsiasi altro non per una breve e transitoria fase ma per decenni: quello della giustizia, del garantismo, del carcere, dell'invadenza crescente del potere giudiziario nelle sfere di competenza degli altri poteri dello Stato, della battaglia culturale fermissima contro il giustizialismo, da qualsiasi parte provenisse, e contro le fantasie dietrologiche.Anche se il gruppo politico del manifesto candidò Pietro Valpreda già alle elezioni politiche del 1972, non riuscendo a far eleggere l'anarchico ingiustamente accusato di essere l'autore della strage del 12 dicembre 1969, sembra, almeno stando alla sua opera pubblica, che il nodo della giustizia s'imponga come prioritario, per Rossanda, negli anni '80, con il processo "7 aprile" intentato contro i leader dell'Autonomia operaia. Presenziò a tutte le sedute del processo. Scrisse decine di articoli in cui denunciava un maxi processo politico basato su un teorema non supportato da alcuna prova e nel quale i capi d'accusa venivano cambiati ripetutamente a seconda della necessità dell'accusa. Un'aberrazione giuridica passata sotto silenzio in nome dell' "emergenza".Non fu l'unico processo politico di cui la fondatrice del manifesto denunciò il carattere politico, la fragilità dell'accusa, il pregiudizio iniziale. Lo fece per anni nel caso del processo contro Sofri e Lc per l'omicidio Calabresi, ma lo fece anche per la strage di Bologna quando il "quotidiano comunista" fu a lungo l'unica voce a sostenere coraggiosamente l'innocenza dei Nar neofascisti e a denunciare i vizi e i pregiudizi di quel processo.A partire dall'esperienza del 7 Aprile, Rossanda si adoperò con ogni strumento per arrivare a una soluzione politica della vicenda sanguinosa del terrorismo italiano. Diede vita, con Luigi Manconi, a un giornale che si occupava solo di questo, Antigone. Sostenne prima il movimento della dissociazione, poi la necessità di un'amnistia per tutti. Fu allora che si rese conto della tendenza della magistratura, allora in fase iniziale ma già evidente, a debordare dei propri limiti istituzionali e costituzionali, a invadere il terreno proprio degli altri poteri. Fu anche quella una crociata che non avrebbe più abbandonato. Rossana Rossanda è stata una delle poche a evitare la sbronza giustizialista che negli anni di tangentopoli individuava nei pm i salvatori della patria. Non faceva sconti al sistema dei partiti ma neppure alle toghe e non ne avrebbe mai fatti in seguito, neppure a proposito delle leggi speciali antimafia.Il caso Moro è parzialmente diverso. L'editorialista del "quotidiano comunista" fu la prima a infrangere l'unanimità emergenziale che indicava nelle Br o una sigla fittizia che copriva provocatori fascisti oppure una banda di folli criminali senza vere radici politiche. Con Moro ancora vivo e prigioniero scrisse un famoso articolo, quello sull' "album di famiglia", nel quale non solo confermava che le Br erano una formazione di estrema sinistra, cosa a quel punto ovvia per tutti, ma soprattutto che la loro cultura, la loro fraseologia, la loro visione del conflitto sociale rispecchiavano quelle del Pci, o di una parte sostanziosa del Pci, negli anni '50.Nei decenni successivi continuò a seguire puntigliosamente il caso Moro ma anche a cercare di capire e chiarire come quell'insorgenza armata, unica nel mondo occidentale post-bellico, si fosse potuta determinare. Firmò con Carla Mosca il libro-intervista a Mario Moretti Br. Una storia italiana, testo essenziale per chiunque voglia capire la lotta armata italiana negli anni '70-80. Non smise mai di contrastare, confutare e sbugiardare le fluviali teorie sul complotto, sulle Br eterodirette, sull'omicidio Moro ordito da occulte centrali di potere per fermare la marcia trionfale del Pci verso il governo. Sapeva che si trattava di sciocchezze.La critica acuminata nei confronti della magistratura, il garantismo, il rifiuto della dietrologia non sono stati oggetto di alcuni articoli brillanti ma sporadici firmati dalla ex responsabile della Cultura del Pci radiata nel 1969. Sono state campagne che ha combattuto in prima persona quotidianamente per decenni e che hanno qualificato il suo giornale, restando a lunghissimo parte essenziale della sua particolare identità culturale e politica. Per questo aver scelto di soprassedere su questa parte centrale della storia e della biografia di Rossana Rossanda, di fatto cancellandola nel ricordo, non è un peccato veniale ma una omissione grave.