Marcello Bortolato, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Firenze, fa una lucida analisi sulle polemiche nate dalla fuga di Johnny Lo Zingaro: «Il giudice di sorveglianza, come tutti gli altri giudici, può sbagliare e ciononostante il sistema deve poter autocorreggersi, ma il vero pericolo è il giudice intimorito e questo clima francamente non garantisce la serenità delle nostre decisioni».

Si riaccende la polemica sulla magistratura di sorveglianza.

Non sono affatto sorpreso. Ogni volta che capitano eventi di questo genere il desiderio di ricercare un colpevole è sempre molto forte. Il magistrato di sorveglianza è il naturale destinatario delle accuse perché si occupa di persone, con le loro variabili, e non di fatti. E valutare le persone, soprattutto i loro comportamenti futuri, non è mai semplice. Non posso entrare nel merito del provvedimento dei colleghi ma do per scontato che il magistrato abbia attentamente valutato i comportamenti passati e le plurime relazioni degli esperti dell’osservazione, per trarre elementi di responsabilità nel concedere nuovamente fiducia al detenuto.

Il soggetto non era rientrato da un precedente beneficio però.

Per questo era stato condannato a 8 mesi: un’evasione già considerata piuttosto lieve dal giudice di merito. Conformemente a un’importante pronuncia del 2010 della Corte costituzionale era stato riammesso comunque ai benefici valutando l’entità del comportamento di evasione, evidentemente valutata nel merito e ritenuta non ostativa, dopo un certo lasso temporale, per la riammissione. Ammetto che non sono decisioni facili, si ridà fiducia a chi l’ha già tradita una volta, ma le norme – e il buon senso – lo consentono. Del resto se il permesso ha un carattere senz’altro premiale, esso è pur sempre un istituto di rieducazione, è utile per coltivare i propri legami e soprattutto prepara il terreno per il dopo, per il progressivo cammino verso la libertà che non può essere negato, come sappiamo nemmeno all’ergastolano soprattutto se, come nel caso di specie, ha espiato già un lunghissimo periodo detentivo, pare più di 30 anni.

Ri- spetto alla totalità di permessi che vengono concessi alla popolazione detenuta italiana, fanno notizia soltanto quelle pochissime volte in cui avviene un’evasione.

La stragrande maggioranza di detenuti che rientrano non fa notizia: nessuno è a conoscenza che nel solo anno 2019 sono stati concessi ben 40.040 benefici ai detenuti. C’è certamente un rischio che deve essere calcolato, che non può però portare alla negazione del beneficio: il danno che così si verificherebbe – il pericolo cioè che le persone non siano più in grado di rientrare responsabilmente nel consesso sociale – è molto più elevato del rischio, tollerabile e tollerato, del mancato rientro.

Il Fatto Quotidiano ha costruito la polemica paragonando il caso di Johnny lo Zingaro con quello di Pasquale Zagaria e attaccando così il Tribunale di Sorveglianza di Sassari.

Direi che i due fatti non hanno, né possono avere, alcuna attinenza se non per una certa propaganda. Si tratta di due autorità completamente diverse: da una parte un collegio e dall’altra un magistrato da solo; da una parte il diritto alla salute, dall’altra uno strumento di rieducazione; da una parte una questione di costituzionalità sollevata prima di assumere la decisione definitiva, dall’altra un provvedimento già emesso. Nessuno poi mai ricorda che esso è impugnabile dal pubblico ministero, oggi addirittura nel termine ben più agevole 15 giorni.

È di qualche giorno fa anche la polemica di Repubblica sui presunti “boss e mezzi boss” ancora fuori.

Mi rifiuto di commentare una non- notizia, posto che a quanto mi risulta in questo Paese non si possono mettere in carcere le persone per decreto legge ma solo con provvedimento del giudice. L’unica vera notizia è che finalmente anche la stampa più informata, benché dopo molti mesi, ha ammesso che i presunti “boss” non erano 400 ma 200, che di questi 200 oltre la metà era in custodia cautelare ( dunque, la magistratura di sorveglianza non c’entrava nulla) e che i veri boss ( capimafia o ex) erano soltanto 4. Sarebbe bastato all’epoca informarsi presso i magistrati di sorveglianza ed avremmo evitato molte polemiche e dileggi anche provenienti da autorevoli intellettuali che ci hanno definito addirittura “giudici di badanza”.

Il ministro Bonafede ha inviato immediatamente gli ispettori a Sassari. Possiamo dire che non c'è un clima sereno nella magistratura di sorveglianza nello svolgere il proprio lavoro?

Mi sforzo di ricordare un periodo in cui la magistratura di sorveglianza abbia lavorato in un clima sereno: la giacchetta viene tirata da tutte le parti. È di due giorni fa un’interrogazione parlamentare che lamenta ritardi, lungaggini e rigidità nella concessione dei benefici mentre l’altro ieri i giudici di sorveglianza erano accusati di troppo lassismo o di buonismo compassionevole. Non ci sottraiamo alle critiche ma alla sistematica campagna denigratoria abbiamo il diritto di opporci. Il giudice di sorveglianza, come tutti gli altri giudici, può sbagliare e ciononostante il sistema deve poter autocorreggersi, ma il vero pericolo è il giudice intimorito e questo clima francamente non garantisce la serenità delle nostre decisioni.