L’unico  rimasto a metterci davvero la faccia è Luigi Di Maio. Gli altri leader politici, sul referendum costituzionale, preferiscono il basso profilo. Persino Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ufficialmente schierati convintamente con il Sì al taglio dei parlamentari, giocano più defilati, lasciando ai grillini l’onere della battaglia. Ma se Lega e Fd’I restano in disparte senza mettere in discussione la sforbiciata, tutti gli altri partiti non hanno ancora dichiarato posizioni ufficiali. O meglio, lo avrebbero già fatto, ma all’interno dei delle loro organizzazioni cresce ogni giorno il fronte No. È il caso di Forza Italia e del Partito democratico. I primi, convertiti alle argomentazioni del sì dopo non aver partecipato alla votazione in Aula per la riforma fino alla seconda lettura al Senato, i secondi folgorati sulla via della ragion di Stato ( e della tenuta della maggioranza) dopo aver votato campattamente no al taglio in tre occasioni consecutive. Ma l’opportunità politica passa, le convinzioni personali restano. E così, azzurri e dem, da partiti del Sì si sono trasformati in schieramenti del “Ni”. I berlusconiani sono sempre più divisi. Se Mariastella Gelmini è convinta che FI debba perseverare sulla strada della riforma, la fronda del No comincia a essere numerosa e vanta colonnelli del calibro di Renato Brunetta, Giorgio Mulè e Francesco Paolo Sisto, solo per citare i più influenti. Difficile pensare che, al di là delle posizioni ufficiali, il popolo azzurro si schieri insieme ai grillini.

Ancora più complessa la situazione tra i dem, confluiti sul Sì solo in nome di un accordo col M5S che prevedeva come compensazione l’approvazione di una riforma elettorale prima del referendum. Ma visto che la nuova legge tarda a vedere la lñuce, chi esce allo scoperto sono i sostenitori del No, stanchi di calpestare le proprie convinzioni in nome dell’equilibrisimo parlamentare. Una grana enorme per Nicola Zingaretti, che nella crociata per il taglio degli scranni può contare sul sì convinto del governatore emiliano Stefano Bonaccini, del sindaco di Firenze Dario Nardella, dell’ex segretario pro tempore Maurizio Martina e del deputato Stefano Ceccanti. La maggioranza degli esponenti dem si inabissa fra mille dubbi. E qualcuno inizia a schierarsi a viso aperto per il No. Tra loro: Gianni Cuperlo, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori e, soprattutto, Matteo Orfini, il più battagliero. «” Il fronte del No è il fronte dell’establishment, di chi sta nei Palazzi. Ma i cittadini voteranno Sì” dice Di Maio, che in quei palazzi occupa l’incarico di ministro degli Esteri», scrive Orfini su Facebook, riportando le parole dell’ex capo politico 5S. «Sono questi gli argomenti beceri e qualunquisti di chi ha promosso il taglio dei parlamentari slegato da una vera e complessiva riforma».

Resta da capire come si comporteranno gli elettori del Pd. Di certo, le sardine, vicine al partito di Zingaretti hanno già lanciato l’allarme sulla rappresentanza democratica in caso di vittoria del Sì.

E per non farsi mancare niente, persino tra i grillini cominciano ad aprirsi crepe. Contro il taglio sono già usciti allo scoperto Elisa Siragusa, Andrea Vallascas, Mara Lapia e Andrea Colletti. Ma il fronte, asscurano, è molto più ampio.