Più volte donne e uomini con responsabilità di governo hanno assunto una chiara posizione affinché in Italia non ci fossero più bambini ristretti insieme ai loro genitori. Nel luglio 2015, secondo le cronache, l’allora Ministro della giustizia, davanti a otto mamme incarcerate con i figli, dichiarò che per la fine di quell’anno si sarebbe posto “fine a questa vergogna contro il senso di umanità”. Come è noto le parole del Ministro furono tutt’altro che profetiche, tanto che, secondo le statistiche ministeriali, sino al 30 giugno del 2018 i minori al seguito di madri detenute - questa la locuzione usata nelle statistiche ministeriali- si erano incrementati di ben 31 unità rispetto allo stesso semestre del 2015, giungendo a ben 66.

A settembre 2018, il tema dei bambini dietro le sbarre venne reimposto alla cronache, poiché una detenuta uccise i suoi due figli, per “restituirli” alla libertà. Anche in quella occasione si registrò un coro bipartisan di buoni propositi. Sono passati quasi altri due anni ed effettivamente i numeri di bambini “ristretti” si sono ridotti, tornando ad cifra vicina a quella del 2015. Tuttavia vi sono più considerazioni che fanno temere che il problema sia tutt’altro che sulla via delle risoluzione: 1) a fine febbraio 2020, momento dell’insorgenza della emergenza covid, i bambini al seguito delle madri detenute erano ancora 59, per passare rapidamente a maggio 2020 a 34, con ciò disvelando che la reale causa di contenimento del fenomeno sia da ascriversi alla più generale riduzione del numero dei detenuti, piuttosto che al progressivo dispiegarsi di una soluzione pressoché definitiva della questione; 2) non si è concretizzato alcuno specifico intervento normativo sul tema, che possa tracciare un preciso orizzonte per la magistratura di sorveglianza e per i giudici della cautela. E ciò nonostante nel 2018 sia intervenuta una riforma dell’ordinamento penitenziario; 3) a luglio 2020 il numero di minori ristretti è tornato nuovamente ad incrementarsi, per quanto lievemente, ma soprattutto si è incrementata la percentuale dei bambini presso le sezioni carcerarie per detenute madri, anziché negli “Istituti a custodia attenuata per detenute madri” (Icam), strutture esterne agli istituti penitenziari e dotate di sistemi di sicurezza non riconoscibili dai bambini.

Ciò posto, va ricordato – in estrema sintesi- che la legislazione penitenziaria prevede il diritto della madre condannata in via definitiva a tenere con sé il minore fino a tre anni e tuttavia, sino al compimento di un anno dell’infante, l’esecuzione penitenziaria deve differirsi, salvo che non sia possibile scontare la pena in detenzione domiciliare. Invero la detenzione domiciliare, le cui maglie nel corso degli anni, anche grazie a interventi della Corte costituzionale, si sono estese, costituisce il principale strumento per evitare la detenzione riflessa dei minori, e per comunque per scongiurare traumatiche separazioni, tra madre e minori che non abbiano compiuto i 10 anni. Per ciò che invece concerne le misure cautelari, non può essere disposta la custodia in carcere di una donna incinta o di una madre di prole di età non superiore a sei anni con lei convivente, salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Ove ricorrano esigenze di tal fatta, la custodia cautelare potrà essere disposta presso un ICAM, se il Giudice ritiene tale tipo di struttura idonea a fronteggiare le esigenze cautelari.

Tuttavia nonostante le occasioni di fruizione di misure extra carcerarie, deve tenersi conto che per molte detenute madri non esiste una soluzione domiciliare adeguata, tanto che nel 2011 il legislatore ha pensato di rimediare attraverso le c. d. case famiglie protette. Ma a circa 10 anni dall’entrata in vigore della legge, l’ostacolo principale alla diffusione di queste strutture è quello economico, ricadendone gli oneri sugli enti locali o sui privati. E’ evidente che il tema è assai complesso ponendosi in un delicato crocevia tra diritti del minore, del genitore e quello alla sicurezza dei consociati, ma sicuramente l’unica cosa che non ci si può permettere è lasciare che dei bambini patiscono forme detentive per colpe altrui.