Diversificare l’offerta politica per rendere più competitivo il centrosinistra. È questa, in estrema sintesi, la proposta lanciata da Goffredo Bettini, stratega dell’era zingarettiana, che accende il dibattito nel campo progressista. La ricetta dell’esponente dem è apparentemente semplice e richiede solo tre ingredienti fondamentali, o «tre gambe», come le definisce l’ideatore in un articolo sul Foglio: «La sinistra, il Movimento 5 Stelle e un'area moderata, riformista e liberale che conta nell’opinione pubblica il 10 per cento, ma che attualmente è spezzettata, afona e non rappresentata».

Il piatto che ne verrebbe fuori avrebbe così i sapori ben definiti di un Pd “depurato” dalla componente margheritina, del populismo istituzionale grillino e del liberalismo responsabile dei volenterosi. E da chi dovrebbe essere guidata questa terza gamba moderata se non da lui, il blairiano postumo, il più talentuoso sprecatore di consensi come Matteo Renzi? Il leader di Italia viva, secondo Bettini, potrebbe diventare la calamita che attrae l’ala liberata del Paese, compresi, in qualche modo i moderati che attualmente siedono tra le file dem, contribuendo a un’operazione chiarificatrice di cui gioverebbe l’intera coalizione. Renzi «se volesse, avrebbe tutto il talento di progettare questo nuovo spazio liberale e moderato, come il costruttore di questa possibilità, individuando i leader più adatti a guidarla», è il ragionamento bettiniano. «Sarebbe una svolta rispetto al suo ruolo di picconatore minoritario. Ritornerebbe ad essere, nonostante le sue sconfitte, una grande personalità della democrazia italiana». L’ex rottamatore, diventato picconatore, secondo questa visione, avrebbe dunque una nuova e forse ultima chance per tornare centrale nel dibattito politico e condizionare maggiormente i due maggiori partiti dello schieramento.

Bettini lancia nel mucchio il suo suggerimento per battere le destre e non deve aspettare molto per gustarsi lo spettacolo del polverone che si alza. Perché come sempre accade quando il “Richelieu del Pd” prende la parola le reazioni sono immediate e inquiete. Dem e renziani si affannano a replicare. «Bettini guarda al passato e vuole rimettere in pista i Ds», scrive sui social il capogruppo del Pd in Senato ed ex renziano Andrea Marcucci. «Il Pd nato al Lingotto è un’altra cosa e resterà il riferimento principale dei riformisti e dei moderati», aggiunge. Il ritorno al passato non convince molto neanche Maurizio Martina, convinto che la «riproposizione del centrosinistra col trattino» non corrisponda all’ambizione storica del Partito democratico. Serve unire, non suddividersi i ruoli, secondo Martina «come se il Pd fosse stato un incidente della nostra storia».

C’è anche chi, come il senatore Tommaso Nannicini, ne approfitta per entrare a gamba tesa su un altro dei temi che agitano i dem in queste settimane: la convocazione di un congresso per decidere la futura linea del futuro. Il punto di vista di Bettini è «legittimo, ma vogliamo uscire dai giornali e chiedere a elettori e militanti Pd cosa ne pensano?», chiede Nannicini. E forse proprio a tal proposito interviene duramente anche il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, uno dei papabili candidati alla successione di Zingaretti. Bettini seppellisce la vocazione maggioritaria, ripristina il centro- trattino- sinistra, resuscita i Ds e chiede a Renzi di fare il capo della nuova Margherita. Come dire: negli ultimi 13anni, da Veltroni in poi, abbiamo scherzato», replica stizzito il primo cittadino bergamasco, convinto che l’idea proposta da Bettini sia ultra minoritaria all’interno del partito. E anche Gori coglie la palla al balzo per mettere altra carne al fuoco nel dibattito dem per valorizzare le differenze col Movimento 5 Stelle. «Confido che tanti siano i No al taglio dei parlamentari voluto dai populisti e a cui il Pd, dopo 3 voti contrari, ha inopinatamente acconsentito. Continuerò ad impegnarmi per un Pd che sia la casa di tutti i riformisti», insiste Gori.

Dal fronte dem, dunque, un’alzata di scudi prova a stoppare la fuga in avanti, o all’indietro, secondo loro, di Bettini. Con qualche rara eccezione, come quella di Enrico Gasbarra. «Ipotizzare e stimolare la nascita della “terza gamba” nel nostro campo politico è la strada giusta per dare un equilibrio solido e vincente alle alleanze e ai programmi di governo alternativi alle destre populiste», dice il membro della direzione nazionale. Nel campo renziano, a sbattere le porte in faccia allo stratega zingarettiano ci pensano invece Roberto Giachetti e Davide Faraone. «Bettini non perde il vizio di dire agli altri quello che devono fare», dice il primo, auspicando «che tutte le forze, le storie e le culture convintamente riformiste, strutturalmente alternative ai due blocchi che oggi si contrappongono nel paese, trovino un canale di dialogo per la costruzione di una vera alternativa maggioritaria in prospettiva delle prossime elezioni politiche», aggiunge Giachetti, accusando Bettini di aver portato il Pd «al guinzaglio» del Movimento 5 Stelle.

Per il capogruppo al Senato dei renziani, Davide Faraone, invece, «Italia viva è nata per aggregare i riformisti proprio mentre il Pd andava verso il M5S con una connotazione populista sempre più evidente». Se il sistema elettorale sarà quello proporzionale, argomenta, sarà naturale l’evoluzione che prevede Bettini: «Un polo moderato e riformista che riunisca tutti coloro che la pensano allo stesso modo e che sono collocati forzosamente ed immotivatamente dentro forze politiche diverse e addirittura in coalizioni diverse». Meglio costruire un campo con Forza Italia che con i pentastellati, dunque. «Niente alchimie o giochini politici, ma un processo naturale. C’è chi dice che Iv teme lo sbarramento: io lo porterei pure a doppia cifra perché sono convinto che potremo diventare la prima forza del Paese», afferma Faraone. Bettini, dal canto suo, lascia che il dibattito si accenda e che il concetto proposto venga metabolizzato da tutti gli attori in scena. La bomba è stata lanciata, ora toccherà a Zingaretti, e a Renzi, maneggiarla.