Pur di rispondere alle domande su quella che definisce “la resa del Pd al Movimento”, l’ex presidente del Partito democratico e deputato Matteo Orfini lascia per qualche minuto le figlie sotto occhi attenti giocare in spiaggia con palette e secchiello. Onorevole Orfini, siamo vicini all’ufficialità dell’alleanza tra Pd e Movimento? Siamo a pochissime settimane da una tornata elettorale decisiva: la partita è delicata, regione per regione, in alcuni casi anche incerta. Per questo trovo abbastanza sconcertante quello che a ridosso di ferragosto, a detta del segretario e del gruppo dirigente del Pd ma anche del M5s sembra stiamo decidendo un’alleanza strategica. Peraltro celebrata da un sondaggio fatto il 14 agosto sulla piattaforma privata di Casaleggio. Io, se permette, sono abituato a una politica più seria in cui le decisioni di lungo respiro si assumono in un Congresso dopo il confronto tra iscritti ed elettori. Come giudica il tentativo di convergenza tra il Pd e quelli che vi definivano “il partito di Bibbiano”? Siamo di fronte a una forzatura che genera incomprensioni, sconcerto, tensioni e polemiche. Suggerirei di tornare alla normalità della politica, anche perché l’idea di un’alleanza strategica è fuori dal mandato di Zingaretti, che ha vinto un Congresso dicendo “Mai con il M5s”. Quindi dobbiamo accantonare la discussione sul futuro e lavorare tutti per vincere le regionali e poi, appena la condizione sanitaria del paese lo consentirà, bisogna indire un Congresso straordinario. Nel frattempo lavorerei per rafforzare l’identità del Pd, che per inseguire il M5s ha rinunciato a larga parte di suoi punti  programmatici. Ad esempio? Scegliere un’alleanza strategica con il Movimento significa cambiare la natura del Pd. Non c’è stata un’evoluzione del M5s, ma una nostra involuzione. Abbiamo rinunciato alla nostra visione costituzionale, accettando, se lo accetteremo, il taglio dei parlamentari. Abbiamo rinunciato al nostro punto di vista su flussi migratori e Ius soli. Sulla giustizia guida Bonafede e non il garantismo che è tratto caro alla sinistra. Associamo il lavoro non a un tratto distintivo della dignità di una persona ma a un salario che si prende a fine mese e quindi sostituibile con il reddito di cittadinanza. Questo non è un accordo con il Movimento, è una resa. Proprio sulla visione costituzionale il dibattito nel Pd è aperto. Alla fine ci sarà un’indicazione di partito? Non so se il Pd sosterrà il sì al referendum, ne dovremmo parlare ma siamo in ritardo e non dovete chiedere a me le ragioni di questo ritardo. Abbiamo votato per tre volte il no perché il taglio dei parlamentari senza altre riforme produce un danno enorme alla Costituzione. Poi nell’ultimo passaggio abbiamo votato a favore per far nascere il Conte bis e perché il Movimento ci aveva garantito che ci sarebbero stati dei correttivi. A distanza di un anno nessuno di quei correttivi è stato fatto. Quindi, in sostanza, vi hanno fregato… Per me il Pd deve votare no e fare campagna per il no. Abbiamo cambiato il voto per un accordo che non è stato mantenuto e a questo punto occorre tornare all’idea di partenza. Un partito serio fa così e quindi mi aspetto che il Pd decida di votare no, anche se è una battaglia difficile. Ma un partito che non gioca una battaglia perchè e difficile è un partito inutile. Il 20 e 21 settembre si vota anche per le Regionali, e anche in questo caso si parla di alleanza con i cinque stelle. Cosa prevede? Penso che sia sbagliato che da Roma noi appoggiamo o meno delle scelte territoriali. Deve decidere il Pd di quei territori e in alcuni casi, come in Liguria, si è scelta l’alleanza con il M5s. In altri luoghi è più difficile ma credo che a prescindere dai 5s quello che premia è la credibilità di un progetto di governo, perché non si vince solo con la strategia delle alleanze. Basti vedere Umbria ed Emilia-Romagna: dove c’era una candidatura forte e credibile abbiamo vinto, di là abbiamo perso. Lei prima ha citato i flussi migratori. Come giudica il lavoro fin qui svolto dalla ministra Lamorgese?  L’unica differenza tra l’ex ministro dell’Interno Salvini e la ministra Lamorgese è che quest’ultima non usa Twitter. I ministri parlano con i fatti e fino a prova contraria la “Bossi-Fini” è ancora lì, i porti sono stati chiusi da questo governo e non dal precedente, i fondi alla guarda costiera libica sono stati rinnovati e i decreti sicurezza rimangono in vigore. Al netto della differenza di modi, che non è poca cosa, sui fatti siamo in perfetta continuità con il Conte I. Ma non è che hanno fatto bene Renzi e Calenda a lasciare il Pd? No, entrambi hanno fatto un grave errore perché credo che per dimensione, storia e modalità di funzionamento il Pd è ancora il perno intorno a cui costruire una proposta di centrosinistra nel Paese. In un partito si può stare in minoranza e in maggioranza ma quando si è in minoranza si combatte per le proprie idee, non si va via. Tra un anno si voterà per il sindaco di Roma. Teme un appoggio del Pd a Virginia Raggi? Il problema a Roma non è soltanto Virginia Raggi, ma l’intera classe politica grillina. Non si può sostenere il sindaco uscente ma nemmeno quegli esponenti pentastellati che hanno governato numerosi municipi in questi anni. Siamo radicalmente opposti al M5s in questa città e su quella opposizione radicale dobbiamo costruire una sfida di governo. Con lei come candidato? Ma no…Ho fatto per tre anni il commissario del Pd romano riportandolo a primo partito della Capitale e ho promesso che dopo quella fase avrei lasciato, come ho fatto. A Zingaretti spetta il compito di trovare una candidatura autorevole che porti alla vittoria e che immagino passerà per le primarie. Nel frattempo, a settembre tonerà in Aula la legge conto l’omofobia. Si riuscirà a trovare un accordo? Per il Pd deve essere una delle priorità e penso che si sia raggiunto un compromesso ragionevole che consiglierebbe di approvare la legge così com’è. D’altra parte è una norma di banale civiltà che evita di essere discriminati, picchiati o offesi a causa della persona che si ama. É fiducioso per la ripresa della scuola? Negli anni sulla scuola si è perso molto tempo e si sono fatti molti errori. Resta una ferita aperta non aver voluto stabilizzare i precari. Dalla chiusura delle scuole sono passati sei mesi e in questo tempo si doveva adeguare il sistema scolastico alle nuove esigenze. Invece noi ci ritroviamo a un mese dall’inizio delle scuole a parlare dei banchi con le rotelle. Dobbiamo mantenere l‘impegno di aprire le scuole in sicurezza, dopodiché sarà giusto discutere di quanto accaduto.