Martedì 7 agosto 1990, alle ore 23.30 circa, veniva trovato nell’ufficio Aiag (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù) in via Poma 2, nel quartiere Prati di Roma, il cadavere della giovane Simonetta Cesaroni. A ritrovarla furono sua sorella Paola, insieme al fidanzato Antonello Barone, Salvatore Volponi, il datore di lavoro di Simonetta, suo figlio Luca, la moglie del portiere Giuseppa De Luca.

Come ben sintetizzo da Carmelo Lavorino, consulente di uno dei futuri imputati, nel suo avvincente e dettagliato libro "Il delitto di via Poma Sulle tracce dell’assassino" ( Albatros Editore): “La ragazza era stata colpita con 29 colpi d’arma bianca al volto e al collo, al tronco, al ventre e al pube; aveva il reggiseno calato sotto i capezzoli e un top poggiato sopra il ventre, per il resto era nuda. La scena del crimine era stata alterata, pulita e riordinata: un tentativo di pulizia del sangue, un’azione mirata di pulizia delle impronte digitali, gli abiti della vittima erano stati portati via, la porta dell’ufficio era stata chiusa con quattro mandate. Mancavano gli orecchini, la collana, il bracciale e le chiavi dell’ufficio della vittima. La vittima non era stata violentata, né aveva segni di difesa sulle braccia e sotto le unghie. Il caso esplodeva sui media come il giallo di via Poma”.

Trent’anni sono trascorsi da quel giorno: diverse piste, nessun colpevole, un mistero italiano forse secondo solo a quello del mostro di Firenze.

Sotto la lente degli investigatori finì dopo pochi giorni Pietrino Vanacore, portiere dello stabile: secondo gli inquirenti il movente era di tipo sessuale, in seguito a rifiuto. A inserirlo tra gli indagati furono delle tracce di sangue trovate sul suo pantalone e l’opportunità: aveva le chiavi dell’appartamento dove Simonetta è stata ritrovata e poteva ripulire la scena senza destare sospetti nel palazzo. Dopo venti giorni uscì dall’indagine: non c’era un forte quadro indiziario.

Nel 1997 è la volta del giovane Federico Valle, il cui nonno viveva in via Poma. Fu chiamato in causa da alcune dichiarazioni di Roland Voeller, amico della madre, da una smagliatura sul braccio che secondo la polizia poteva essere invece la cicatrice di una operazione di chirurgia plastica fatta per coprire un ferimento durante il brutale assassinio, dal sangue misto sulla porta.

L’avrebbe uccisa perché rivedeva in lei l’amante del padre. Anche lui fu prosciolto.

Nel 2007 tocca a Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta Cesaroni: avrebbe ucciso la ragazza dopo un litigio, nato per un conflitto emozionale. Lei voleva una storia più seria, lui no. Gli elementi di sospetto sono: tracce di Dna sul reggiseno della ragazza, il segno di un morso sul capezzolo sinistro ritenuto compatibile con l’arcata dentaria di Busco. Come fiancheggiatore e depistatore era rientrato in scena anche Pietrino Vanacore che il giorno prima della sua testimonianza si suicidò in circostante alquanto misteriose. Busco è stato assolto in via definitiva dalla Cassazione.

E allora chi ha ucciso Simonetta Cesaroni? Se lo chiede forse tutto il Paese e le ipotesi non mancano. Le elenca sempre Lavorino nel suo libro: un insospettabile preso da un raptus di tipo sessuale? Un predatore che l’ha notata e scelta?

Un omicidio su commissione da parte di qualcuno di cui Simonetta aveva letto qualcosa nel computer dove lavorava? I servizi segreti deviati che avrebbero avuto una sede lì nello stabile? Un omicidio per vendetta da qualcuno che si è sentito respinto oppure da una donna gelosa? E infine, un serial killer?