Il coronavirus sta continuando a mietere vittime in Italia e altrove, e molti stanno guardando con preoccupazione quei territori, come Australia e Sudafrica, dove le temperature più basse causate dalla stagione invernale stanno contribuendo all’aumento dei contagi. In questo contesto la politica italiana s’interroga sulla prevenzione in vista di una possibile seconda ondata, e tra i temi di maggiore discussione c’è l’uso del Mes, che secondo l’ex viceministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni, Enrico Morando, è «assolutamente necessario».

Onorevole Morando, la pandemia ha raggiunto 18 milioni di contagi nel mondo, e molti temono per una seconda ondata in Italia. In questo scenario, il Partito democratico ritiene ancora fondamentale accedere al Mes?

L’utilizzo delle risorse messe a disposizione dal Mes costituisce una priorità. É già stato dimostrato che non esiste un problema di stigma provocato per l’Italia dalla scelta di prendere queste risorse. Abbiamo un bisogno urgente di ristrutturare il nostro Sistema sanitario nazionale e dobbiamo farlo adesso, non in un tempo imprecisato. Nessuno è in grado di escludere che in autunno possiamo trovarci di fronte a una recrudescenza del virus e per questo ristrutturare il Ssn, con i fondi del Mes, dev’essere la prima scelta.

Cosa significa ristrutturare?

In primo luogo bisogna consolidare il nesso fortissimo, che già esiste, tra le eccellenze del nostro sistema ospedaliero e le strutture territoriali. Lo si può fare attraverso il corretto utilizzo dei medici di famiglia e delle strutture del Ssn presenti sul territorio, che deve tornare a essere protagonista Alcune regioni, come Veneto e Toscana, hanno mostrato migliori performance proprio perché hanno mantenuto un sistema sanitario più orientato al territorio, ma anche dove le cose sono andate meglio c’è bisogno di un volume gigantesco di investimenti. Dobbiamo agire ora e non c’è altra strada che il Mes, con il quale tra l’altro potremmo coprire spese già finanziate con i decreti emessi durante l’emergenza.

A cosa si riferisce?

Molti dei Dpcm che abbiamo conosciuto in questi mesi avevano anche contenuto sanitario e hanno impiegato utilizzo di risorse per almeno sette miliardi aggiuntivi rispetto a quelli previsti a legislazione vigente. Sette miliardi a debito, che costa decisamente sopra l’uno per cento, a seconda di come lo finanzio. Quei sette miliardi potremmo finanziarli con un prestito, il Mes, che costa enormemente di meno.

Ma qui casca l’asino: il Movimento 5 stelle è fortemente contrario al suo utilizzo, forse anche per ragioni ideologiche. Come se ne esce?

L’opinione dei 5 stelle sul Mes non è dettata dalla loro ideologia ma dal fatto che sia il Movimento sia Conte hanno in passato detto che mai e poi mai avrebbero fatto ricorso alle risorse del Mes perché avrebbe privato il paese della sua autonomia. Non vogliono smentire se stessi, la loro ideologia non c’entra niente. Ma continuare a non scegliere, a non decidere, nascondendosi dietro ad argomenti a questo punto speciosi, è un errore molto grave, perché non consente di avviare il piano di ristrutturazione del sistema le cui coordinate di fondo il ministro Speranza, conoscendolo, avrà già sul tavolo: parlo di telemedicina, assistenza agli anziani, deleghe specifiche alle farmacie e ai medici di famiglia.

Il M5S di Mes proprio non vuol sentir parlare, eppure ci sono alcuni temi, come l’europeismo, sui quali ha dimostrato subalternità al Pd. Come se lo spiega?

Non mi piace parlare di subalternità. Il movimento 5 stelle, di fronte ad un mutamento della realtà, ha cambiato opinione. C’era chi, come il Pd, certe opinioni le aveva da prima e altri che l’hanno condivisa dopo. Tuttavia il loro “no” di fondo al Mes è la cartina al tornasole di come anche un cambiamento di opinione può riservare delle sorprese. Come ha dimostrato l’ultimo Consiglio Europeo, lo stigma può venire all’Italia dal non ricorrere al Mes, perché diamo l’idea che non ci fidiamo dei partner europei. Questo governo tuttavia ha un merito indiscutibile: aver recuperato un rapporto con l’Europa. Ed è sulla base di questo rapporto che Merkel e Macron hanno potuto fare quello che hanno fatto. Fiducia è la parola Europa chiave in questo momento.

Ma il Partito democratico ha fiducia del Movimento 5 stelle?

Dar vita al governo giallorosso ha risposto efficacemente ad uno stato di necessità, tanto che sono stato tra coloro che ha condiviso quella scelta e l’esperienza di questo anno non mi induce a cambiare opinione. Praticare realisticamente la strada del rapporto con il movimento sulla base dell’idea che esso sia figlio di uno stato di necessità è stato ed è giusto tuttora. Altra cosa è considerare che strategicamente, per il lungo periodo, la prospettava politica del partito democratico è quella dell’alleanza con il M5s. La “prescrizione mai”, ad esempio, è la fine del mondo per chi, come me, ha una concezione liberale. Altro che decreti sicurezza.

Sembra più d’accordo con Renzi che con Franceschini, o sbaglio?

Renzi ha sbagliato la cosa fondamentale, cioè è uscito dal Pd quando ha temuto che non ci fossero le condizioni per guidarlo ancora. Un errore grave per un riformista, perché in quanto tale avrebbe dovuto accettare la sfida dentro a un grande partito e cercare di renderlo a forte vocazione maggioritaria. Il Pd è nato come forza aggregatrice, non come punto d’equilibrio tra quattro o cinque istanze diverse. Chi persegue una strategia diversa, come Bettini, pensa che la rappresentanza dell’area liberal democratica sia portata in dote dagli alleati ma a quel punto è chiaro che sorge un problema di leadership. È una scelta politica che a me non piace e che non condivido e che cercherò di contrastare, organizzando quella che oggi è una minoranza. Al momento del congresso l’alleanza strategica con il M5s verrà contrastata da una mia mozione, anche se fossi da solo.