Quella scattata dall'elicottero della Sea Watch non è la prima foto di un cadavere che crea sgomento nell'opinione pubblica, ma secondo Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, questa volta "dovrebbe far riflettere sulla necessità di un cambio di passo nella solidarietà e nell'accoglienza". Monsignor Vincenzo Paglia, la foto del cadavere di un migrante che giace al largo delle coste libiche sta suscitando indignazione come fu nel 2015 per la morte del piccolo Aylan in Turchia. Questa volta però la foto è stata scattata a qualche chilometro dalle nostre coste, come può un paese come l’Italia non farsene carico?  Quanto è accaduto è di una barbarie inaccettabile e colpisce al cuore la qualità di una civiltà. Tutti noi, giustamente, siamo rimasti tragicamente travolti nel vedere, durante la pandemia, i corpi delle persone defunte che venivano portati via dai camion dell’esercito. Ma ora siamo di fronte a un’immagine insostenibile, per di più inviata ben quattro volte alle autorità che non se ne sono interessate, il che rende ancor più pesante questa tragedia. Abbiamo avuto il coraggio di creare le “zone di ricerca e soccorso” mentre quello che sta accadendo è l’esatto opposto. Perfino nel Medioevo sorgevano confraternite di laici e uomini generosi che si impegnavano per dare una degna sepoltura ai morti. Ecco perché io credo che questa immagine sia oggi un grido di condanna che deve scuotere le coscienze di tutti, nessuno escluso. Tanto più in quel Mar Mediterraneo che da “mare nostrum” sta diventando sempre più un “mare monstrum”. Ci siamo commossi tutti nel vedere la foto del marinaio che porta in braccio un migrante sfinito: io inviterei tutti a guardare quella foto e solo dopo andare a visitare la Pietà di Michelangelo a San Pietro. Dal punto di vista umanitario i migranti sono spesso richiedenti asilo o persone che fuggono dalla loro terra abbandonando famiglia e affetti. La nostra società oggi è in grado di garantire loro il “diritto a emigrare”?  Sono convinto che la cultura giuridica contemporanea debba recuperare o affermare con maggiore chiarezza il diritto a emigrare, che è un diritto originario e fondamentale. Come è possibile, per un mondo che dal 1968 è riconosciuto come “villaggio globale”, permettere poi che in un angolo di questo villaggio si venga abbandonati? Nella misura in cui scopriamo il mondo come casa comune, abbiamo il dovere di promuovere una cultura che sostenga il diritto all’emigrazione anche all’interno di quella casa comune. D’altronde, se alziamo lo sguardo scopriamo che in cielo non ci sono frontiere. È ovvio che tutto ciò deve essere regolato, ma ciò che manca sono i fondamenti della possibilità di regolare questi diritti. Dovremmo prendere esempio da paesi come l’Uganda, che già ospita un milione e mezzo di immigrati ma che ha deciso di accogliere i profughi del Congo orientale, dove si continua a combattere. Invece sentiamo affermazioni di comodo come “Mica possiamo accogliere tutta l’Africa!”. Affermazioni che non esistono. Versione integrale nell'edizione del Dubbio di venerdì 17 luglio.