«Mia figlia di 22 mesi ha uno sguardo assente, ha un blocco del linguaggio e psico motorio. Dopo mesi di visite abbiamo scoperto che il motivo è il distacco del papà dal momento che è stato prelevato alle 3 di notte quando lei era presente». Così racconta a Il Dubbio Loredana Ursino la sua vicissitudine. Una storia, una delle tante, dove a essere travolti dal carcere non sono solo coloro che hanno commesso un reato, ma anche i familiari, soprattutto i figli piccoli, che pagano per colpe non loro. Grazie al bellissimo docufilm “Caine” della giornalista Amalia De Simone recentemente trasmesso da Rai Tre si è potuto parlare delle donne in carcere. Però poi ci sono anche compagne, mogli, alcune giovanissime, dove tutto ciò che la detenzione comporta non viene vissuto solo dal proprio caro recluso, ma anche da loro. La situazione diventa decisamente più problematica e sofferente se hanno anche dei figli piccoli. E sono quest’ultimi a pagare ancora di più la detenzione dei padri. In alcuni casi possono vivere dei veri e propri traumi che hanno delle conseguenze devastanti sul loro equilibrio psichico. Tutto ciò si è amplificato ancora di più a causa dell’emergenza Covid 19. Il distacco, a causa del divieto di potersi abbracciare durante il colloquio, è totalizzante. «Ho scelto io di stare con il mio compagno, quindi non mi sento vittima. Ma mia figlia no, non l’ha scelto lei, ed è ingiusto che la debba pagare così cara», spiega Loredana Ursino a Il Dubbio. Lei, 26enne, ha due figli. Uno di pochi mesi, l’altra di quasi due anni, il suo compagno Marco Venuti ne ha 28 anni. «Quando sette mesi fa, alle 3 di notte fecero irruzione 15 agenti della polizia nell’appartamento dei miei genitori dove eravamo quella notte ospiti, io ero incinta e mia figlia di un anno e mezzo improvvisamente ha cominciato a piangere, ma di un pianto che ancora oggi ricordo. Era come se lei si fosse fatta male». Il giorno prima il compagno aveva tentato di compiere una rapina in un supermercato assieme ad altri quattro complici. Non ci riuscirono, ma in compenso sono stati ripresi dalle telecamere e per questo non è stato difficile identificarli e arrestarli di notte.

L’irruzione della polizia nel cuore della notte

Loredana racconta il dramma di quella notte, quando la polizia aveva dimostrato la convinzione – rilevatasi errata – che addirittura i suoi genitori fossero complici. «Una situazione surreale, ebbero un battibecco pure con mio padre che disse semplicemente di lasciarmi sola per potermi cambiare. Rivoltarono di cima a fondo tutto l’appartamento e addirittura ipotizzarono la complicità dei miei». Resta il fatto che quella notte il suo compagno fu portato prima alla questura di Reggio Calabria, per poi tradurlo direttamente nel carcere reggino di Arghillà. Il mondo, all’improvviso le è crollato addosso. Rimane da sola, incinta, con una figlia piccola. Nonostante la difficoltà, economica, e la solitudine, lei si è rimboccata le maniche per affrontare il disagio. Ma non è facile. «Dirò una cosa che fa male sentirlo, ma mi creda – racconta Loredana – è tremendo dirlo e soprattutto provarlo. Ho partorito da sola in ospedale e la nascita di mio figlio è stata la cosa più brutta della mia vita». Loredana è entrata in sala parto con la speranza che il dottore chiamasse in tempo il carcere per dire al suo compagno che è diventato papà. «Ho avuto – rivela con dolore – una forte depressione post parto, che poi fortunatamente sono riuscita a superare».

Smette di parlare e lo sguardo assente

Il destino a volte è crudele. Non di rado accade che le sventure capitino tutte insieme. Una scarica di colpi che rialzarsi diventa una impresa epica. Subito dopo, infatti, è arrivato il lockdown. Chi ha un lavoro sicuro, affetti stabili, ha potuto dire con sicurezza e con sorriso “Restiamo a casa”. Ma tante vite, in quel momento difficile, sono state travolte e hanno attraversato il buio più totale. «Come sappiamo – racconta sempre Loredana-, per colpa del Covid hanno bloccato i colloqui in carcere e mia figlia ha cominciato a dare segni di instabilità. Inizialmente ha cominciato a dare problemi di deambulazione, cadeva molto spesso sia da ferma che quando camminava. Poi anche problemi di linguaggio. Prima che venisse arrestato il mio compagno, mia figlia aveva cominciato a parlare, poi ha improvvisamente smesso». Si è pensato che fossero capricci, ma la situazione ha cominciato a diventare seria. «Alla fine l’ho portata a fare delle visite. Fisicamente, per fortuna, è risultato che non ha nessun problema. Ma la psicoterapeuta ha diagnosticato che il suo disagio è mentale. Ha spiegato che mia figlia ha subito il distacco involontario dal padre e la presenza di un altro bimbo». In sostanza la bimba di quasi due anni ha subito due shock contemporaneamente. A questo si è aggiunto il blocco dei colloqui. Prima almeno, poteva abbracciare suo padre durante i colloqui. Poi improvvisamente il distacco totale. «Ha cominciato anche ad avere delle assenze, ci sono dei momenti che fissa il vuoto e non risponde alle chiamate».

Il parere negativo del PM

Ora nelle carceri c’è la fase due, ma i bimbi non possono tuttora abbracciare i padri. «Teoricamente posso portarla ai colloqui, ma a due metri di distanza e c’è il divieto di contatto. Non posso portarla – spiega Loredana – perché mia figlia istintivamente correrebbe per abbracciarlo e non posso negarglielo perché diventerebbe un ulteriore trauma». Ovviamente non può portarla, perché il compagno poi subirebbe una sanzione disciplinare che comporterebbe 15 giorni di isolamento. La psicoterapeuta è stata chiara con Loredana, la figlia ha subito un trauma così enorme che «si rifiuta di crescere senza suo padre». Ma, come detto, le sventure possono capitare tutte insieme. Accade che suo figlio di pochi mesi si era preso una grave polmonite arrivando quasi in fin di vita all’ospedale. «I medici mi hanno detto che era il caso di far venire il padre per salutare il bambino, perché probabilmente non ce la farà». A quel punto ha fatto subito istanza. «Il giudice ha concesso la visita, ma la cosa che mi fa più male – dice con incredulità Loredana - è aver letto che il Pm aveva dato parere negativo». Eppure ha commesso una tentata rapina, non ci si capacita come mai il magistrato lo avesse reputato così pericoloso, tanto da volergli negare un ultimo saluto al figlio piccolo. Fortunatamente il bimbo si è ripreso. Però rimane tutta questa insostenibile situazione. Il compagno è da sette mesi in custodia cautelare, il processo dovrebbe iniziare a settembre. Il Pm ha chiesto 10 anni per una tentata rapina. Una pena, forse, spropositata. Che ne sarà della figlia di due anni? Loredana ha paura nel fare una istanza per i domiciliari mettendo come motivazione la necessità della figlia. «Io non vorrei – spiega Loredana – che il giudice la respingesse dicendo che mia figlia in realtà sta bene e può farcela da sola, non me lo perdonerei mai, sarebbe un colpo atroce difficile da attutire».Il compagno, Marco Venuti, come detto si trova recluso al carcere di Arghillà. Durante il periodo Covid 19 ha avuto un ruolo fondamentale per la tenuta del carcere. A differenza di tanti altri penitenziari, non c’è stata una rivolta. Lui si era proposto per sensibilizzare tutti i detenuti della sezione sulla necessità della chiusura colloqui onde evitare la diffusione del contagio. Ha funzionato. «In realtà il mio compagno – dice Loredana - è una persona buona, molti che lo conoscono sono rimasti sorpresi. Non voglio giustificarlo, perché ciò che ha fatto non glielo perdonerò mai, ma credo che abbia tentato di fare una rapina perché avevamo difficoltà economiche, con una figlia e un bambino in arrivo». Nulla si giustifica, ma le autorità possono rimanere indifferenti nei confronti di una bambina di quasi due anni che sta duramente pagando una colpa non sua? Storie come queste sono frequenti.