«In questi anni quando partecipavo ai convegni in materia di diritto penale tributario ed incontravo un collega, la prima domanda era sempre come fossi riuscito a far assolvere Fedele Confalonieri, il presidente di Mediaset, se il socio, Silvio Berlusconi, era stato invece condannato», afferma l’avvocato Alessio Lanzi, consigliere del Csm in quota Forza Italia, già difensore di Confalonieri nel processo sui diritti televisivi. «Mi fa piacere precisare - chiarisce l’avvocato Lanzi - che dico queste cose non per alimentare una polemica politica che in questi giorni sta montando, ma per puro interesse giuridico».

All’indomani delle polemiche scaturite dalle rivelazioni postume del giudice di Cassazione Amedeo Franco, estensore della sentenza di condanna a Berlusconi il primo agosto del 2013, in un colloquio con il Dubbio Lanzi, professore di diritto penale all’università Bicocca di Milano, ricorda come andò il processo e l’iter argomentativo seguito dai giudici nei vari gradi di giudizio.

La vicenda inizia nel 2009 al termine di una delle tante verifiche fiscali che avvenivano in quegli anni a Mediaset. L’imputazione iniziale è quella di falso in bilancio, poi frode fiscale. Secondo l’accusa sono state utilizzate fatture inesistenti, relative all’acquisto di diritti televisivi da parte di società straniere, nella dichiarazione dei redditi di Mediaset.

Il reato sarebbe stato commesso sia da Confalonieri, presidente di Mediaset, presentando la dichiarazioni dei redditi, che da Silvio Berlusconi in quanto socio occulto. La sentenza di primo grado assolve Confalonieri e condanna Berlusconi.

L’appello è alquanto travagliato, molte le questione procedurali come i vari impedimenti per motivi istituzionali di Berlusconi.

Il collegio di secondo grado conferma. Si va in Cassazione solo per Silvio Berlusconi, in quanto i pm non impugnano l’assoluzione di Fedele Confalonieri. Il seguito è noto: una sentenza a cui l’avvocato Lanzi, pur non essendo difensore di Berlusconi a piazza Cavour dove era assistito dal professore Franco Coppi, ancora oggi ha difficoltà ad interpretare.

«Se è stato assolto il presidente della società che compilò la dichiarazione dei redditi, come è possibile che il socio, da solo, abbia commesso il reato?» si chieda il professore milanese.

Per la Cassazione vale l’articolo 48 del codice penale, l’istituto che ribalta la responsabilità penale su quello che è stato costretto a commettere il fatto.

«Berlusconi avrebbe fraudolentemente indotto a Confalonieri a fare la dichiarazione dei redditi, un elemento che non era mai uscito dal processo», sottolinea Lanzi, ricordando che nulla era però emerso circa queste ingerenze illecite del Cav.

Il prezzo era stato dunque pagato per i diritti, «al massimo si poteva affermare che era stato pagato troppo» e sotto il profilo tributario, questo si traduce in un «surplus che non si può portare in deduzione».

Per sostenere allora la tesi della falsa fatturazione che è costata a Silvio Berlusconi l’espulsione dal Senato? «Sovrafatturazione qualitativa, ossia la fattura è falsa perché aumenta il prezzo che è giusto», un caso rarissimo ricorda Lanzi, sottolineando che qualche mese più tardi, per una vicenda analoga, la Cassazione aveva deciso in maniera diversa.

E qui si inserisce il recente procedimento civile a Milano che, dopo aver appurato che Frank Agrama non era un prestanome o un socio occulto, ha stabilito che il prezzo dei diritti, comprese le provvigioni, fosse corretto.