Nella lettera della presidente dell’Ordine forense di Torino Simona Grabbi al guardasigilli Bonafede, alla ministra della Pa Dadone e ai vertici di Cnf, Ocf e uffici giudiziari, ci si imbatte in un numero: 7.200. Sono tanti gli «atti, provvedimenti, verbali» che il Coa di Torino si è prodigato a «ritirare dalle cancellerie civili del Tribunale e del Giudice di Pace», per poi consegnarli «ai colleghi» durante il lockdown che ha desertificato il tribunale. Solo per dire fino a che punto gli avvocati si siano battuti contro l’ineluttabilità dello smart working. Ora l’Ordine torinese, forte di quella dedizione e della funzione costituzionale di «presidio di valori e diritti fondamentali», chiede che il governo si ricordi del potere attribuitogli dall’articolo 87 del Dl Cura Italia. Quella norma consente alla ministra Dadone e al premier Conte di fissare, con dpcm, «una data antecedente al 31 luglio entro la quale la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nel settore della giustizia sia il lavoro agile». E la presidente Grabbi chiede che «tale data non sia successiva al 20 giugno».

Basta una firma per evitare che i tribunali si facciano trovare clamorosamente impreparati alla fine del lockdown giudiziario, fissata al 30 giugno dall’emendamento votato due giorni fa in commissione al Senato. Come si legge nell’inattaccabile lettera del Coa di Torino, «una prosecuzione dello smart working negli uffici giudiziari, se non in via del tutto straordinaria, salvaguardando le motivate esigenze personali e di salute, non appare ammissibile». La giustizia, ricorda la nota, è «un ganglo nevralgico dello Stato», ed è ormai assurdo che resti ferma «quando viceversa sono giustamente riprese le attività commerciali e financo quelle ludiche». D’altra parte la norma del Cura Italia che ha messo in smart working l’intera macchina pubblica «non tiene in alcun conto le specificità dell’attività giudiziaria, nell’ambito della quale il lavoro agile può solo in minima parte sostituirsi alla ordinaria attività lavorativa in presenza, soprattutto nel penale».  La lezione dovrebbe essere bastata. Almeno, gli avvocati di Torino ne sono convinti.