''Eh no, adesso basta. Stop alle bugie, agli insulti, alle interpretazioni del tutto false delle conversazioni tra me e Luca Palamara. Lo scrive sul suo blog su Repubblica la cronista giudiziaria Liana Milella in un articolo intitolato ''Io e Palamara''. ''Faccio questo mestiere da 40 anni - spiega Milella -, con fatica, quella di ogni giorno per cercare le notizie. Con l'onore di aver tenuto sempre la testa alta e aver detto dei no quando c'era da dirli. È la mia storia, di cui vado fiera. Non consento a nessuno di sporcarla. Né tantomeno, attraverso di me, di attaccare Repubblica. Di cosa stiamo parlando? Delle intercettazioni di Palamara, depositate a Perugia. In cui ricorre anche il mio nome. E certo che c'è. Perché seguo il Csm e la politica della giustizia. Perché nella primavera del 2019 l'argomento più gettonato a palazzo dei Marescialli era chi avrebbe occupato la poltrona di procuratore di Roma dopo Pignatone. Palamara non era più componente del Csm, ma la toga più influente di Unicost. Nonché ex presidente dell'Anm ai tempi dello scontro con Berlusconi, nonché pm di Roma, con l'ambizione di diventare procuratore aggiunto. Un magistrato intervistato ovunque. Una fonte per chi scrive un articolo come quello pubblicato su Repubblica il 24 maggio del 2019 proprio sul destino di Roma''. Con ''questa fonte - prosegue Miletta - io ho avuto delle normalissime conversazioni. Quelle che intercorrono tra un giornalista che vuole sapere che succede e una fonte che risponde. Tutto lapalissiano. Nessuna ''merenda'' di mezzo. Neppure un panino. Solo la fatica di scoprire dei retroscena. La fatica che il cronista onesto fa ogni giorno per scrivere un articolo. Nessun gioco. Nessun patto. Nessun favoritismo. Solo notizie. In questo caso come si sarebbero schierate le correnti della magistratura nella scelta del procuratore di Roma. Con chi votava Unicost? Stava con Magistratura indipendente e non con la sinistra di Area? E Palamara, che aveva fatto domanda anche per la procura di Torino, dove avrebbe preferito andare? ''Ti metto a Torino?'' Chiedo a Palamara. Ditemi voi cosa c'è di così ''infame'' in questa domanda''. ''Scorretto - perché io non uso l'espressione ''infame'' - è invece il tentativo di colpire chi si è sempre battuto per la trasparenza delle carte giudiziarie, per la piena pubblicazione, anche delle intercettazioni. Pubblicatele pure le mie conversazioni. Non ci troverete nulla se non l'insistente sforzo di convincere una fonte a parlare. Certo, per chi da decenni scrive solo commenti, capisco che il dialogo può risultare da extraterrestre'', conclude.