Nella conferenza stampa del 16 maggio, a proposito del rapporto Stato- Regioni, il presidente del Consiglio ha detto: «E’ un assetto che deve registrare qualche manutenzione: non mi concentro sulle proposte, ma credo sarà giusto fermarsi a riflettere e valutare se si può migliorare qualcosa in questa divisione di competenze». Una notte di serrate trattative attendeva i rappresentanti del governo e delle regioni per giungere ad un’intesa sul Dpcm che regolerà i comportamenti di tutti nella fase 2 dell’emergenza. Se si guarda ai comportamenti dall’inizio della pandemia, non si può dire che i rapporti tra governo e regioni abbiano dato il senso di unità di intenti e di efficace coordinamento. Si fa fatica a rintracciare la leale cooperazione richiesta dalla Costituzione. Anzi, credo che, soprattutto ai cittadini ignari e non tenuti a conoscere tutti i complicati risvolti della ripartizione di competenze tra centro e periferia, si sia trasmessa una sensazione di conflittualità e di divisione, di un’Italia divisa. Alcuni presidenti di regione hanno operato come se fossero indipendenti dal potere centrale. Abbiamo ascoltato proclami di divieto di ingresso nel territorio regionale come se non ci fosse l’art. 120 della Costituzione che lo vieta espressamente.

Ai decreti del presidente del Consiglio sulle limitazioni alle libertà costituzionali ( non su una sciocchezza qualsiasi) si sono contrapposte ordinanze dei presidenti di regione e, a volte, anche di sindaci. Il governo, che pure avrebbe potuto scegliere la strada di un annullamento diretto, in due occasioni ha preferito il ricorso alla giurisdizione amministrativa ottenendo soddisfazione nei riguardi delle regioni Marche e Calabria.

Quanto alla legge con la quale la provincia di Bolzano anticipava alcune riaperture, ha annunciato il ricorso alla Corte costituzionale. Prosegue quindi il conflitto nelle sedi giudiziarie esploso a partire dalla riforma del titolo V della Costituzione. A fronte di questa situazione autorevoli commentatori hanno chiesto la previsione in Costituzione di una clausola di supremazia che faccia prevalere l’interesse nazionale. Sono state anche immediatamente presentate due proposte di revisione costituzionale. In effetti, uno dei maggiori difetti della riforma del 2001 è stato quello di aver cancellato dal testo della Costituzione la nozione di interesse nazionale. Fu un errore grossolano: ogni sistema federale o di regionalismo avanzato prevede la possibilità di superare in determinate situazioni la divisione di competenze per materie con una procedura che faccia prevalere gli interessi unitari. Insomma è una proposta fondata che ha intenti lodevoli. E’ necessario però considerare altri due aspetti. In primo luogo, richiedere riforme costituzionali, anche giuste, in situazioni di emergenza non risolve nell’immediato il problema.

Non si vede come nell’attuale situazione si possa procedere in tal senso e la loro prospettazione rimane un pio desiderio. Del problema dell’assenza di una clausola di supremazia nella Costituzione si sono occupati progetti di riforma abortiti nel corso del tempo, a partire da quello bocciato nel referendum del 2006 e per finire con quello respinto con il referendum del 2016. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. E’ necessario continuare ad operare con gli strumenti che la cassetta degli attrezzi a disposizione offre. E così veniamo al secondo aspetto.

La lacuna della nostra Costituzione fa sentire i suoi effetti sull’esercizio della funzione legislativa. Sul piano dell’azione amministrativa opera la previsione, all’art. 120, del potere sostitutivo del governo nei confronti delle regioni. Un tale potere avrebbe potuto essere esercitato nelle vicende dell’emergenza coronavirus, ma il governo ha preferito la strada giurisdizionale. Insomma, il problema è stato di natura politica. Indicazioni più chiare e stringenti da parte del governo, un comportamento più responsabile dei presidenti di regione, un più efficace e tempestivo confronto e raccordo tra centro e periferia avrebbero evitato l’impressione di un paese disarticolato e lo sconcerto tra i cittadini, disorientati da indicazioni diverse, se non addirittura contraddittorie.

Negli ultimi giorni una faticosa trattativa ha portato ad un migliore equilibrio delle diverse istanze. Ma le difficoltà non scompaiono e il proposito del presidente del consiglio di rivedere l’assetto stato- regioni è sicuramente buono per il dopo emergenza, anche se si può nutrire qualche fondato dubbio che vi sarà un clima adatto ad una riforma di tale portata. Nel frattempo ci accontenteremmo di comportamenti più virtuosi da parte di tutti.