Se c’è una categoria di persone molto eterogenea è quella degli anticonformisti e degli eretici.

Parafrasando Tolstoj, ogni ortodosso è conformista allo stesso modo e ogni anticonformista è eretico a modo suo.

Nella nostra storia ci sono, parafrasando Enzo Jannacci, quelli che hanno patito per la scienza e come Galileo hanno avuto il loro premio nella memoria collettiva e quelli che hanno combattuto il cristianesimo in nome del libero pensiero, come Giordano Bruno, diventato una sorta di “santo e martire” dei miscredenti.

C’erano però e furono molti quelli che provarono nell’Italia della Controriforma ad essere diversamente cristiani o altrimenti cattolici.

Per loro il futuro è stato meno radioso : sono stati esclusi dal calendario liturgico e sono rimasti appena una nota nei libri di storia.

Come i comunisti dissidenti , hanno subito l’infamia in vita e l’ oblio nel futuro ; perdenti due volte. La loro vicenda processuale e biografica ha però ancora molto da dirci.

Pietro Carnesecchi fu uno di loro. Un “enfant prodige” fiorentino che giovanissimo fece rapidissima carriera sotto Papa Clemente VII, nella effervescente Roma di inizio ‘ 500.

Poi fu tradito dalla sua curiosità intellettuale : iniziò a leggere Lutero e Calvino e a interessarsi dei fermenti religiosi d’Oltralpe e finì, morto il suo pontefice protettore , sotto gli occhi dell’Inquisizione.

Per diversi anni riuscì, come direbbe un illustre magistrato nostro contemporaneo, a “farla franca “, anche perché stette molto tempo in Francia, al tempo di Caterina de’ Medici.

Ad un certo punto, come Giordano Bruno e a differenza di alcuni suoi amici, che scelsero l’esilio volontario, come il Caracciolo, su cui scrisse memorabili pagine Benedetto Croce, fu attratto come una calamita da Roma. Qui fu sottoposto a tre procedimenti : il primo fu archiviato in fase di indagini preliminari, come diremmo oggi per mancanza di riscontri.

Ma oggi come allora il decreto di archiviazione non “fa giudicato” e qualche anno dopo, “in presenza di nuovi elementi indizianti “ , come si scriveva a quei tempi e si scrive ancora, fu nuovamente processato per eresia.

Secondo gli storici, grazie alla benevola influenza di amici fu assolto con formula piena, nonostante, come si diceva allora e si dice adesso, le contrarie richieste dell’p. m., l’inquisitore Ghislieri.

Sfortunatamente, qualche anno dopo lo stesso Ghislieri divenne Papa, col nome di Pio V e ebbe l’uzzolo di chiedere la revisione del processo, da poco concluso.

Base della richiesta era la volontà di “non disperdere il lavoro svolto nei lunghi anni passati, frutto di lunghe indagini “, ma soprattutto la volontà di “fare piena luce sul fatto”.

Locuzioni che non sono mai passate di moda.

Decisiva per la revisione fu comunque l’attività di intercettazione di conversazioni. A quei tempi non c’era la banda larga, ma esisteva comunque di “chattare” per via epistolare e la duchessa Gonzaga ebbe la mala grazia di non cancellare, bruciandole, le lettere che le aveva scritto il Carnesecchi.

Alla morte di costei, l’epistolario fu messo a disposizione degli inquirenti, che instaurarono un processo di “eresia parlata”, così come oggi nel gergo forense si parla di “processi di droga parlata”.

Medesimo il copione : si estrapolano in centinai di messaggi confidenziali le frasi più “interessanti”, si mettono insieme in un sapiente montaggio e poi si contestano all’estensore, evidenziando che comunque , al di là delle volute ambiguità, certe frase dimostrerebbero in modo inequivocabile la colpevolezza.

A quel punto fu proposta al Carnesecchi una via d’uscita, allora e tuttora molto gradita alla giustizia italiana : l’ammissione del fatto e la rinuncia alle lungaggini processuali. Il Carnesecchi a quel punto fece un passo decisivo verso il patibolo : chiese di essere assistito da due avvocati di sua fiducia . Era la goccia che fece traboccare il vaso : fu decapitato qualche settimana dopo.

E’ una storia lontana, ma vale la pena di ricordarla, sull’esempio manzoniano della “Colonna Infame” per trarne un monito di stretta attualità.

Il rientro alla normalità processuale viene avversato da ampi settori della magistratura che non vedono l’ora di limitare e abolire garanzie difensive, ma che invece sono inflessibili nel voler mantenere il diritto di appello del pubblico ministero e che anche a fronte di assoluzioni in sede comunitaria mantengono ferme le condanne in base a reati di creazione giurisprudenziale.

Certo molto acqua è corsa sotto i ponti di Roma dai tempi di Pietro Carnesecchi, ma la mole di Castel Sant’Angelo spicca sempre sopra il Tevere, a pochi metri dal Palazzo di Giustizia.