Sul quotidiano Il Dubbio del 25 aprile è comparso un articolo del prof. Dino Cofrancesco dal titolo “Il 25 aprile è una ricorrenza divisiva, la vera festa degli italiani deve essere il 2 giugno”. Ritenendo che la titolazione fosse dovuta ad una sintesi giornalistica volutamente provocatoria, incuriosito, mi sono affrettato a leggere il testo constatandone, non senza sorpresa, la piena corrispondenza con il titolo.

L’autore afferma che il 25 aprile è “un giorno di lutto e di dolore legato a una sciagura nazionale” ed è quindi una “festa profondamente divisiva indigesta ad una parte ampia di persone” per cui soltanto il 2 giugno è la festa unitaria del popolo italiano da celebrare.

A me sembra che all’illustre autore sfugga che il referendum istituzionale e le libere elezioni dell’Assemblea Costituente, svolte per la prima volta con l’allargamento del suffragio alle donne, sono figli del 25 aprile in cui culminò la resistenza, quale lotta di liberazione dall’occupazione tedesca e dei valori che essa espresse ( si veda tra la vasta bibliografia sul tema l’aureo volume “Lettere di condannati a morte della resistenza italiana”, Einaudi, 19529.

La resistenza non fu certo una sciagura bensì un fenomeno, composito ma unitario nella condivisione degli ideali di libertà, capace di mobilitare un vasto arco di forze politiche.

In essa si riconobbero, al di là delle singole appartenenze politiche e sociali, con sentimento patriottico unitario, operai e intellettuali, esercito regio e volontariato, giovani e anziani, uniti e ispirati dall’insegnamento di Benedetto Croce della libertà come ideale etico e civile.

Senza la condivisione di questi valori non sarebbe nata la democrazia liberale, fondata sulla Costituzione, garante della libertà e dei diritti di tutti. Proprio gli eventi del 2 giugno e il loro antecedente costituito dalla mobilitazione dei resistenti, consentirono agli italiani di superare lo smarrimento identitario provocato dalla tragedia dell’ 8 settembre (“La morte della Patria”) e di recuperare un legame collettivo e il senso comunitario di un’esperienza condivisa all’insegna della libertà ritrovata.

Con gli eventi del 2 giugno, che non sono un fatto isolato e senza radici, si chiuse quella parentesi della storia patria che Croce vide nel ventennio delle libertà negate e represse, delle guerre coloniali, dell’aggressione alla Grecia, dell’alleanza con la Germania nazista, delle leggi raziali, e l’Italia riprese il suo cammino riallacciandosi con nuove sensibilità all’eredità del Risorgimento.

Piero Calamandrei spiegando la Costituzione agli studenti di Milano evocava gli echi di voci lontane nel tempo, ma presenti e vive nello spirito e nella lettera della Carta repubblicana: nell’articolo 2, che garantisce e tutela i “doveri inderogabili di solidarietà” risonava la voce di Mazzini; la voce di Cavour echeggiava nell’art. 8 sull’eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge; la voce di Cattaneo spirava nell’articolo 5 che promuove le autonomie nell’unità della Repubblica; etcetera.

In una fase difficile e problematica, come è quella che stiamo vivendo, caratterizzata da una sfiducia politica generale, dall’influsso di un populismo demagogico, da un Parlamento esautorato, da un Governo che in nome di uno stato di emergenza invade e lottizza la sfera economica e produttiva, comprime le libertà costituzionali con un’alluvione di atti amministrativi privi del controllo parlamentare e si profila incombente, se non già in atto, una post democrazia autoritaria, trovo singolare che si evochino antiche e antistoriche divisioni, proprie della storiografia e della memorialistica dell’estrema destra.

Superate dalla coscienza collettiva, come è stato dimostrato dalla celebrazione ampiamente partecipata sia pure a distanza del 25 aprile.

E’ urgente invece riflettere sui rimedi liberali contro l’abuso dell’autorità governativa per evitare l’incipiente crepuscolo della democrazia rappresentativa consentendo il ritorno alla Costituzione.