Nel catino di un talk che, diciamo, non si contraddistingue per nuance garantiste, è andato in onda un battibecco che ci saremmo volentieri risparmiati.Con un magistrato componente del Csm che attacca il ministro della Giustizia su questioni delicatissime, riguardo incarichi altrettanto delicatissimi.Non battiamo le mani allindirizzo delle tifoserie, men che mai sulla giustizia. Tanto più se, come dice qualcuno, è un derby. Risulterebbe perciò poco commendevole e istituzionalmente scorretto parteggiare per luno o per laltro, strillando per sapere chi mente e chi dice la verità. Anche e soprattutto perché, a nostro avviso, il punto vero sta altrove. Precisamente nellobbligo di ribadire che il terrenodi scontro, palese occulto che sia, non possono essere i diritti costituzionalmente garantiti dei detenuti. Nè tantomeno chi li deve, sempre per compito costituzionale e giurisdizionale, valutare e tutelare. Senza sconti. Senza ferocia.Nel perimetro che segna la libertà delle persone, comprese quelle che si sono macchiate di delitti atroci ma per le quali pure valgono le tutele scritte nella Carta, bisogna muoversi con equilibrio ed accortezza, allontanando i protagonismi. Per una ragione semplicissima: perché è il perimetro che distingue la civiltà dalla barbarie. Meglio: lo Stato di diritto dalla legge del taglione.