In questi giorni, è di gran moda la discussione sui processi e sulla modalità di celebrazione delle udienze: da vicino e di persona, e quindi “solide”, o da lontano – in videoconferenza o con trattazione per iscritto – e perciò “liquide”. Chi vuole l’udienza liquida si proclama moderno; chi quella solida, garantista. L’accusa che ci si scambia reciprocamente, in maniera non troppo velata, è di inadeguatezza. Per il settore civile, nell’interesse dei cittadini alla tutela giudiziaria, dovrebbero poter ripartire fin da ora tutti quei processi che possono farlo in condizioni di sicurezza, perché per la prima volta nella storia è stata sospesa persino gran parte di quella tutela cautelare che più volte la Costituzione ha chiarito essere una componente essenziale del diritto di difesa. Tra i diritti che la Magna Carta vietava di ritardare, c’era anche quello di ottenere giustizia. È sgradevole, al giorno d’oggi, assistere a una così lunga sospensione dell’attività giudiziaria: sono anni, infatti, che in ambito civile è stato introdotto il processo telematico, una modalità che consente la trattazione scritta già oggi, e che avrebbe permesso quindi di ridurre l’impatto dell’emergenza. Occorre perciò evitare che vittima del coronavirus resti anche quel processo civile che serve a proteggere la dignità e l’indipendenza dei cittadini, nonché le ragioni dell’economia. Sgombriamo il campo dal falso mito secondo cui nel processo penale si discuterebbe di diritti più importanti che nel civile: è bene ricordare, per esempio, che è stato in processi civili che si è discusso, e a volte deciso, della scelta di staccare la spina a una macchina che teneva in vita una persona, oppure del futuro di un’azienda siderurgica tanto importante da poter condizionare, a un tempo, l’economia nazionale, decine di migliaia di posti di lavoro e la salute di intere popolazioni. La giustizia civile è patrimonio di tutti, perché si occupa di moltissimi aspetti della vita di ciascuno di noi. Proprio per questo, credo che le contrapposizioni ideologiche non siano utili e nemmeno giuste: quelli che rivendicano l’udienza liquida non sono sempre i più moderni, quelli che chiedono che resti solida ( e tra questi ci sono anche io) non necessariamente sono i più giusti. È un problema di garanzie della difesa: la presenza fisica degli avvocati in udienza, di norma, le assicura meglio di quanto non possa fare una trattazione da remoto, perché permette al legale di percepire quello che da lontano può sfuggire.

È anche vero che, mentre il codice di rito civile aveva previsto che ogni udienza fosse un anello insostituibile di una catena che doveva portare alla decisione finale, la prassi ne ha svuotato di significato alcune. È innegabile che alcune udienze non si trattano ma si rinviano, e questo può essere fatto anche stando a distanza. Nelle ipotesi di semplici rinvii, imporre la necessità di una presenza fisica dei difensori potrebbe effettivamente costituire un inutile dispendio di energie. Le esigenze di razionalizzazione delle udienze che si risolvono in un semplice rinvio devono però integrare le garanzie individuali del diritto di difesa, non pregiudicarle: non si può obbligare i cittadini, e gli avvocati che li rappresentano, a rinunciare a quelle garanzie per favorire una gestione più efficiente delle cause. E nemmeno si può strumentalizzare l’emergenza per favorire una sperimentazione, ancorché provvisoria, sia perché non si fanno esperimenti sui diritti dei cittadini, sia perché, in Italia, nulla esiste di più definitivo di ciò che è provvisorio.

Troppe volte abbiamo visto riforme che, in nome delle ragioni dell’economia, hanno trasformato l’accesso alla giustizia in una possibilità riservata a pochi: si pensi al raddoppio del contributo unificato nelle impugnazioni. Proprio per questo, il processo deve conservare e custodire le proprie garanzie e non si deve imporre ai cittadini di rinunziarvi per evitare sprechi di tempo: il tempo impiegato a fare giustizia non è mai sprecato.

Un bilanciamento di quelle garanzie con le ragioni dell’efficienza può senz’altro essere immaginato, ma deve essere limitato alle fasi in cui le esigenze di garanzia sono attenuate dal comportamento processuale delle parti, e può formare oggetto di un confronto soltanto se si ipotizzerà che i cittadini, per il tramite dei loro avvocati, abbiano la facoltà di chiedere l’udienza da remoto, e non di vedersela imporre: il processo civile è dei cittadini, non dei giudici, ed è il luogo della libertà, non dell’autoritarismo. Siamo certi che quelle libertà saranno rispettate dal Legislatore, perché ogni coartazione del diritto di difesa potrebbe provocare un’altra catastrofe, questa volta giudiziaria: la giustizia costituisce un limite di liceità persino per l’esercizio del potere legislativo, e qualsiasi riforma di stampo autoritario cadrebbe in un’aula di piazza del Quirinale, o di Strasburgo: perché un processo, per potersi dire giusto, deve essere fondato sulla forza della ragione, non sulle ragioni della forza.

* Presidente Unione nazionale delle Camere civili