Se si dà uno sguardo alla quarta edizione della fortunata Storia d’Europa dal 1945 a oggi ( Laterza) di Giuseppe Mammarella, che uscì nel 2006, si scoprirà che gli ultimi capitoli sono intitolati “Gli anni della crisi”. Lo scorrere tumultuoso e veloce degli avvenimenti nell’era di Internet ci impedisce di riflettere sui fatti e sulle vicende con un minimo di spessore storico. La cronaca uccide, ormai, la storia in un flusso comunicativo che investe tutti i media, compresa la carta stampata.

Tanto è vero che, di fatto, i libri di storia più diffusi non sono quelli degli storici di professione, ma dei giornalisti, fra l ’ altro in molti casi bravi. Forse, però il problema non sta nei libri, ma nel come e quanto si leggono. Cioè sempre di meno e solo se scritti da personaggi del circo mediatico. Del caso di cui vorremmo parlare cioè della crisi della UE, si scrivono fiumi di parole, ma sono anni, anzi decenni, che, se crisi è, non si è più fermata. Allora bisognerà capire da quando è cominciata la crisi discendente delle “magnifiche sorti progressive”, di quella che è stata definita, la più grande creatura di successo del secondo dopoguerra. Specialmente oggi che siamo in guerra, sebbene contro un virus, bisognerà capire le origini di questa crisi che ha impedito e impedisce di affrontare la situazione con l’unione delle Borse. Oggi più che mai necessaria per affrontare una pandemia che rischia di avere sul piano economico e sociale, ma anche delle istituzioni, un effetto ancor più grave di una guerra.

Tanto più che la “lunga crisi” di cui dicevamo ha alimentato, anche per validi motivi una ondata di euroscetticismo che ha gonfiato le vele ai partiti, candidati e ai movimenti populisti e “sovranisti”. Vorrei ricorrere, per andare al cuore del problema all’aiuto di un grande filosofo del ‘ 900 europeo, Benedetto Croce. La Grande Guerra era appena cominciata, ma il Belgio era stato già invaso dalla Germania violandone la neutralità, e si era già capito che l’idea della guerra breve e circoscritta rischiava di dilagare.

Così il 3 ottobre del 1914, il filosofo prese la penna per scrivere sul Corriere della Sera di Luigi Albertini, una frase che spiega bene la situazione di oggi: «Credo – scrisse – che a guerra finita, si giudicherà che il suolo d’Europa non solo ha tremato per più mesi o per più anni sotto il peso delle armi, ma anche sotto quello degli spropositi». E gli spropositi, i giudizi avventati, le retoriche patriottarde, gli stereotipi sui tedeschi o sugli italiani o sui francesi o gli olandesi abbondano sino alla nausea. Sono “spropositi” pericolosi, molto pericolosi.

Lo erano ai tempi di Benedetto Croce e lo sono ancora oggi. Si vide con ciò che successe dopo la guerra e coi regimi totalitari che si formarono dal comunismo al fascismo, e poi al nazismo. Purtroppo, il dopo virus potrebbe provocare oggi, la crisi ancor più grave se non finale della UE con effetti non secondari nella vita di tutti noi, noi europei. Per capire i rinvii e le indecisioni, i conflitti e i veti che paralizzano ora più che mai le istituzioni decisionali e principalmente il Consiglio Europeo dei capi di Stato e di governo, bisogna fare marcia indietro e non indugiare sugli “spropositi” di stampo nazionalistico di cui parlava Benedetto Croce. Il combinato disposto del trattato di Maastricht prevedeva una sorta di percorso di avvicinamento progressivo fatto di compatibilità di bilancio e di altri parametri, per arrivare all’adozione combinata della moneta unica e di un Trattato Comune Costituzionale.

Senza indagare sul perché e il per come questo appuntamento “saltò” sia nei modi che negli esiti, nel 1999 fu adottato l’Euro, ma per la Costituzione il percorso fu più lungo e tormentato sino al referendum francese del 29 maggio 2005, che per l’Unione non fu per nulla radioso. I francesi con un margine di 55% a 45% respinsero il testo costituzionale, elaborato da una commissione presieduta da Giscard d’Estaing. Così l’UE rimase dal punto di vista istituzionale un “ircocervo” con una moneta unica, per coloro che la adottarono, come espressione di un sistema federale in fieri, e con tutte le istituzioni, commissione, consiglio, eurogruppo, dove ci si comportava con il diritto di veto, tipica espressione dei sistemi confederali. Ecco spiegata l’origine delle enormi difficoltà che oggi si manifestano nell’Unione Europea che sempre di più si mostra come un gigante dai piedi d’argilla. Se oggi si riuscirà a trovare un compromesso per andare avanti con i piani finanziari per uscire dalla guerra del coronavirus, sarà già qualcosa. Tuttavia, non si potrà tirare avanti con trattative lunghissime, come quelle sui modi per affrontare la pandemia, che vanno avanti dal 20 febbraio del 2020, quando la riunione speciale del Consiglio Europeo dei capi di Stato e di governo non riuscì a stabilire l’ammontare del Quadro finanziario pluriennale, in piena crisi del coronavirus. Il problema è l’unanimità e il diritto di veto, come vediamo oggi a tre mesi di distanza.