C’è il mondo reale e c’è il mondo del calcio. In tempi normali il primo è alle prese con la fatica del quotidiano, con le sfide che ogni giorno uomini e donne devono vincere sul posto di lavoro, in azienda, in casa, assegnando a quell’universo parallelo sogni, speranze, soddisfazioni e, ovviamente, delusioni.

È capitato a tutti noi vivere un giorno, una stagione o una vita intera come Paul Ashworth, il protagonista di Febbre a 90° di Nick Horby, indissolubilmente legato alle sorti del suo Arsenal. Un gol fatto o subito, un passaggio riuscito o sbagliato, un fuorigioco fischiato o non visto a cambiare l’umore e le priorità della giornata o della settimana. Su questa febbre di italiani ed europei ( e ora anche asiatici) il mondo del pallone ha costruito un impero simbolico, emotivo e, ovviamente, economico che l’ha progressivamente allontanato dalla realtà. E in questi mesi dominati da un’altra febbre – quella terribile di Covid- 19 – questo iato tra calcio e mondo degli uomini e delle donne comuni si è ulteriormente ampliato.

In principio furono le partite giocate a macchia di leopardo: rinvio per alcune, a porte chiuse per altri, con il pubblico in talune circostanze. Il tutto mentre il Paese prendeva coscienza della necessità di ridurre la vita sociale e i contatti umani. E mentre medici e infermieri combattevano a mani nude ( e senza mascherine) contro il virus e non venivano sottoposti a tampone per verificare un loro eventuale contagio da parte dei pazienti, le star del calcio italiano trovano il modo di fare dei test e, in barba agli italiani reclusi nelle mura domestiche, prendevano il primo volo tornarsene a casa.

Senza contare che, con il sistema produttivo bloccato, i negozi chiusi, le saracinesche di tutto il Paese abbassate e gli italiani costretti a contare i passi intorno a casa con l’ultima versione dell’autocertificazione governativa in tasca, c’era qualche presidente di Serie A pronto a convocare i calciatori per gli allenamenti.

Cronache da un universo parallelo. L’ultima diatriba sugli stipendi della Serie A appartiene a questa stessa categoria. Nessuno vuole, ovviamente, mettere in discussione l’importanza economica del settore: macina un volume d’affari miliardario ed è la testa di ponte per far arrivare nel nostro Paese colossi mondiali, ha al suo interno contratti milionari, società quotate in borsa, investimenti infrastrutturali importanti per la collettività. Un grande potere al quale, però, deve corrispondere una grande responsabilità. Nelle priorità, nei toni, negli interventi. Da giorni si rincorrono date sulla ripresa degli allenamenti, sulla ripartenza del campionato, su come scaglionare e incrociare gli impegni di campionato e coppe europee mentre i cittadini italiani aspettano con ansia il bollettino giornaliero della Protezione civile che, giorno dopo giorno, ci ricorda quanto letale sia Covid- 19. E che effetto può aver avuto il duello tra le società e la Lega di Serie A da un lato, e i calciatori e il loro sindacato dall’altro sul taglio degli ingaggi sui tifosi?

Non rischiano quei tifosi di allontanarsi dal calcio a sentir parlare di bilanci, dei milioni dei diritti tv, delle sponsorizzazioni e dei contratti dei loro idoli mentre le priorità della quotidianità di questa fase terribile ed eccezionale sono la tutela della propria salute e la paura per il presente e il futuro provocato dal terribile impatto che Covid- 19 ha avuto e avrà sull’economia italiana ed europea?

Nulla di nuovo, per carità. Il mondo degli uomini e quello delle star del calcio sono distanti anni luce da qualche decennio, ma oggi quella distanza, che è sempre stata accompagnata da sogni, emozioni e speranze oggi, rischia di diventare fredda, cinica e triste.

Sarebbe un cambio di passo epocale, capace di aprire fratture irreparabili sottraendo al calcio quella passione che lo ha reso gioco più bello e popolare del mondo. Una responsabilità che ricadrebbe tutta sui vertici del calcio di oggi e toglierebbe ai tifosi italiani quel capitale fatto di sogni ed emozioni che per anni hanno arricchito la vita di milioni di appassionati. Sarà folle, ma chi non ha sognato di festeggiare un titolo con un gol alla diretta rivale all’ultimo minuto dell’ultima partita di campionato proprio come Paul Ashworth?