Nel finale della conferenza stampa dell’altra sera, il Presidente del Consiglio, rispondendo a una domanda del giornalista, ha affermato: «il diritto di accesso alle reti infotelematiche deve essere un diritto costituzionalmente tutelato». Giustissimo.

Era il 30 novembre del 2010 quando, presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, si svolse l’Internet Governance Forum Italia, dedicato al tema dell’accesso a Internet. In quell’occasione, Stefano Rodotà presentò una proposta di modifica dell’art. 21 della costituzione prevedendo un comma aggiuntivo che riconoscesse e tutelasse il diritto di accesso a Internet; io tenni una relazione dal titolo “Il diritto costituzionale di accesso a Internet” ( poi pubblicata e anche tradotta in inglese e spagnolo).

Evidentemente, eravamo troppo in anticipo con i tempi. C’è voluta – ahimè – una pandemia, che ci costringe a rimanere in casa, per scoprire quanto sia importante garantire il diritto di accesso a Internet. Per lavorare, studiare, informarsi e svagarsi. Oggi possiamo dire: digito ergo sum.

Mentre Rodotà puntava a modificare la costituzione, io cercavo nella costituzione il riconoscimento costituzionale del diritto di accesso quale “diritto fondamentale”. Alla proposta di Rodotà intravedevo due ostacoli: la difficoltà procedurale di modifica della costituzione e il problema di cambiare una norma costituzionale collocata nella prima parte della Carta, che è considerata, secondo larga parte della dottrina, immodificabile. Allora, come è stato fatto per altri diritti costituzionali impliciti, penso all’ambiente e alla riservatezza, suggerivo di estrapolare il diritto di acceso a Internet attraverso l’ermeneutica della costituzione.

Il diritto di accesso si declina sotto due diversi ma collegati profili: a) diritto di accesso al contenuto, e quindi come strumento necessario per la realizzazione della libertà di manifestazione del pensiero ( ex art. 21 cost.). Se questa libertà diciamo on line è esercitabile se e in quanto si accede alla Rete, l’accesso non è solo strumento indispensabile ma diventa momento indefettibile dell’esercizio della libertà, senza il quale essa verrebbe snaturata, cancellata; b) il secondo profilo, invece, si riferisce al diritto di accesso a Internet quale diritto sociale, o meglio una pretesa soggettiva a prestazioni pubbliche, al pari dell’istruzione, della sanità e della previdenza ( ex art. 3 cost.). Un servizio universale, che le istituzioni nazionali devono garantire ai loro cittadini attraverso investimenti statali, politiche sociali ed educative, scelte di spesa pubblica. Infatti: sempre di più l’accesso alla rete Internet, e lo svolgimento su di essa di attività, costituisce il modo con il quale il soggetto si relaziona con i pubblici poteri, e quindi esercita i suoi diritti di cittadinanza. Oggi la cittadinanza è digitale.

Proprio sul problema dell’accesso a Internet, e con riferimento alla situazione italiana, può essere utile citare qualche dato empirico.

Secondo le più recenti indagini di “Eurostat”, infatti, più di un terzo di italiani non ha mai usato Internet, ovvero il 34% della popolazione non ha mai navigato sul web. Un dato che posiziona l’Italia in fondo alla classifica europea, di poco sopra la Grecia ( con il 36%) e la Bulgaria ( con il 41%). Invece la media Ue è del 79% delle famiglie che ha accesso a Internet. Poi, per quanto riguarda, in Italia, il rapporto tra e- government e privati, solo il 21% dichiara di usare i servizi digitali offerti dalla pubblica amministrazione, a fronte di una media europea pari al 41%. L’Italia non va meglio in termini di velocità di banda, un’altra variabile che ci porta in fondo alla classifica europea. Secondo i rilevamenti del rapporto State of the Internet Report di Akamai, l’Italia totalizza in media una velocità di 4.9 Mbps ( megabit per secondo): Paesi Bassi, Svizzera e Repubblica Ceca dominano la classifica con una velocità superiore agli 11 Mpbs. Al di sotto dell’Italia compare solo la Turchia, con 4 Mbps.

Bisogna garantire ai cittadini la velocità massima delle reti a banda ultralarga, tipicamente reti FITH.

Bisogna farlo attraverso un mirato investimento del fondo già assegnato al Ministero dello sviluppo economico di 1,3 miliardi di euro. Qui si propone di attivare dei voucher, di diverso importo, in favore delle persone fisiche, delle piccole- medie imprese, di scuole e centri per l’impiego. Un finanziamento da spendere direttamente con l’operatore che fornisce il servizio in grado di assicurare, tramite la fibra ottica, la velocità di un gigabit al secondo. Da qui può iniziare il percorso per l’affermazione del diritto costituzionale di accesso a Internet.