Ci troviamo di nuovo a dovervi raccontare una vicenda che nulla sembra avere di umano e forse di legale. Una vicenda il cui epilogo è avvenuto prima che scoppiasse l'emergenza Coronavirus in carcere. È la storia del detenuto Domenico Audino a cui è stato vietato di far visita alla madre gravemente malata che nel frattempo è deceduta, senza poter salutare per l’ultima volta suo figlio. Domenico Audino è stato condannato, in concorso con altri, all’ergastolo in via definitiva nel 2012 per essere stato fiancheggiatore degli esecutori materiali dell’uccisione di Francesco Fortugno, vice- presidente del Consiglio Regionale della Calabria, avvenuta il 16 ottobre 2005. All’epoca aveva 27 anni. Oggi è rinchiuso nella sezione 41bis del carcere di L’Aquila. Ma torniamo ai fatti in oggetto. Il 13 dicembre 2019 il magistrato di Sorveglianza del capoluogo abruzzese accoglie l’istanza di permesso di necessità ex articolo 30 dell’Ordinamento Penitenziario avanzata da Audino, tramite i legali Barbara Amicarella ed Eugenio Minniti, per far visita alla madre in precarie condizioni di salute. La donna soffriva infatti di un grave tumore polmonare. Lo stesso giorno la Procura della Repubblica presso il Tribunale di L'Aquila presenta ricorso avverso tale decisione per due motivi: il detenuto aveva già fatto visita alla madre tempo prima e mancavano elementi di affidabilità fuori dal carcere, dato il suo spessore criminale. Il 7 gennaio 2020 il Tribunale di Sorveglianza rigetta il ricorso della Procura, come già in precedenza quando la stessa Procura della Repubblica si era opposta alla richiesta del detenuto di recarsi sulla tomba della nonna deceduta da poco. Lo fa con le seguenti motivazioni: la madre aveva una prognosi dall’esisto infausto a breve termine, con “recente e rilevante aggravamento”; sussistevano i requisiti di eccezionalità della concessione, specificando che “la pericolosità del soggetto non costituisce un limite normativamente previsto alla concessione del permesso di necessità”; occorre tener conto del “principio di umanizzazione della pena”. Nonostante questo, l’uomo non è stato trasferito in Calabria dalla madre ricoverata. Gli avvocati hanno fatto numerosi solleciti al Tribunale di Sorveglianza e alla Casa circondariale affinché a loro volta sollecitassero il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, che pure si era opposto ma inutilmente, per eseguire l’ordinanza su esposta. Era stato prodotto a metà febbraio un ulteriore certificato medico dell’ospedale di Locri in cui si scriveva che la donna era in “imminente pericolo di vita”. Persino i carabinieri di Locri, come ci dicono i legali, qualche giorno prima del decesso avevano inviato una email al carcere rappresentando che la donna era in fin di vita. Alla fine l’uomo non ha potuto più rivedere la madre che è venuta a mancare.

L'avvocato Eugenio Minniti commenta così al Dubbio:

«Il Dap e la Casa circondariale non avendo dato esecuzione ai numerosi provvedimenti autorizzativi del magistrato di Sorveglianza e del Tribunale dell'Aquila hanno violato i principi della nostra Carta costituzionale; inoltre hanno commesso condotte negligenti violando la disposizione normativa di cui all' art. 650 cp, e degli altri precetti penali che saranno ravvisati nei loro comportamenti assolutamente omissivi che difatti saranno oggetto di un nostro specifico esposto/ denuncia dinanzi alle competenti Autorità Giudiziarie».