Persino «riunioni di lavoro» come i colloqui fra presidenti di sezione e magistrati dello stesso ufficio sono svolti, in giorni così drammatici, con «strumenti agili». Che debba essere così lo prevede, nella sua dichiarazione in plenum, anche la togata del Csm Alessandra Dal Moro, presidente della settima commissione e relatrice alle “linee guida” dettate giovedì scorso, per l’emergenza, dall’organo di autogoverno delle toghe. Un vademecum dettagliatissimo, frutto innanzitutto della collaborazione fra Consiglio superiore della magistratura e Consiglio nazionale forense. L’esito di una dialettica sull’organizzazione della giustizia che va avanti fin dalle prime fasi dell’emergenza sanitaria. Da quando cioè sono state messe a punto le prime linee guida per il contenimento del contagio da parte del guardasigilli Alfonso Bonafede e dello stesso Cnf.

L’ampia delibera del Csm contiene allegati che definiscono nei particolari tutte le procedure per la celebrazione delle udienze sia civili che penali. Possono essere citati diversi passaggi interessanti, fra le oltre 30 pagine del documento. Ma forse ce n’è uno più di tutti significativo: nella parte in cui il Csm offre le proprie “raccomandazioni” ( che tali sono, giacché il documento è presentato in premessa quale «strumento che fornisce mere indicazioni operative» e che «non limita in alcun modo l’interpretazione delle norme, rimessa ai magistrati» ), ci si occupa naturalmente anche delle modalità che i capi di ciascun ufficio dovranno stabilire per la fase successiva al 15 aprile, e che si concluderà il 30 giugno. In quell’ampio arco temporale non ci sarà più la sospensione di tutti i termini e il rinvio di tutte le udienze non urgentissime, ma si potranno comunque disporre limitazioni anche estreme. Ebbene, i vertici di Tribunali e Procure della Repubbllica sono invitati ad «assumere, comunque, i predetti provvedimenti principalmente valutando, in via prioritaria, il contrasto all’emergenza epidemiologica», a partire quindi dalla «necessità di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati delle persone». Con assoluta chiarezza, si prefigura come la stessa “fase 2” possa essere di semiparalisi al pari di quella attualmente in corso, qualora la minaccia del Covid continuasse a richiederlo.

Solo per avere un’idea sia dello spirito di cautela che ispira le “linee guida”, sia di quanto siano particolareggiate, si possono ancora richiamare le parti in cui si suggerisce come persino i documenti che “viaggiano” da una stanza all’altra siano «portati a conoscenza dell’ufficio cui sono diretti ( pubblico ministero o giudice) mediante trasmissione con modalità telematiche».

Anche se di mezzo c’è solo un corridoio.

Visto che i capi degli uffici decideranno, tra l’altro, sulla “fase 2” «sentito il Consiglio dell’Ordine degli avvocati», si consigliano ovviamente «modalità di assunzione dei provvedimenti per iscritto ed attraverso procedure partecipate, idonee a coinvolgere — con modalità anche informali, compatibili con il rispetto delle misure igienico- sanitarie prescritte, nonché con le sussistenti ragioni di urgenza — in funzione consultiva i componenti dell’ufficio, l’avvocatura ed il personale amministrativo». Si decide dunque per iscritto ma anche in via informale. Anche con comunissime chat di whatsapp, tanto per intenderci.

Giusto, giustissimo. Forse una preziosa e pedagogica immersione nella concretezza. Ma alcuni dettagli dell’inedito mondo della giustizia virtuale dovrebbero invece, secondo il Csm, essere codificati in maniera più stringente. In alcuni casi grazie all’aiuto offerto dal Cnf che, per le udienze civili ad esempio, predisporrà e metterà a disposizione degli avvocati «modelli uniformi per eventuali istanze per la trattazione ( anche da remoto o cartolare) dei procedimenti trattabili previa dichiarazione di urgenza» ovvero «per la richiesta di rinvio dei procedimenti che, pur espressamente indicati come indifferibili, possano essere rinviati senza produrre grave pregiudizio alle parti».

Così come, sempre in ambito civilistico, il giudice dovrà prendere atto, innanzitutto, della «espressa dichiarazione dei difensori delle parti in merito alle modalità di partecipazione della parte assistita al momento dell’udienza e della dichiarazione relativa al fatto che non siano in atto, né da parte dei difensori né da parte dei loro assistiti, collegamenti con soggetti non legittimati».

Procedure ispirate a un misto di formalismo e fiducia. E che sono sì una preziosa sperimentazione, ma che neppure potranno sostituire per sempre il principio dell’immediatezza, sul quale si basa l’intera architettura costituzionale del giusto processo.