«Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione». Qualcuno deve avere suggerito a Viktor Orbán la nota affermazione di Carl Schmitt e lui l’ha fatta propria. Per Schmitt la base costituzionale era ( anche) l’art. 48 della costituzione di Weimar, che autorizzava il presidente del Reich a sospendere i diritti fondamentali. Per Orbán la base costituzionale è ( anche) l’art. 53. Nel vocabolario del costituzioonalismo la democrazia illiberale di Orban non c’è

«Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione». Qualcuno deve avere suggerito a Viktor Orbán la nota affermazione di Carl Schmitt e lui l’ha fatta propria. Per Schmitt la base costituzionale era ( anche) l’art. 48 della costituzione di Weimar, che autorizzava il presidente del Reich a sospendere i diritti fondamentali. Per Orbán la base costituzionale è ( anche) l’art. 53 della costituzione ungherese del 2011, che recita: «Il Governo dichiara lo stato di pericolo estremo e adotta tutte le misure straordinarie definite da una legge cardinale nel caso di disastri naturali o di incidenti industriali che minacciano la vita e i beni delle persone». Anche se vi è un intero titolo della costituzione di Ungheria, dall’art. 48 all’art. 54, che disciplina “Gli stati giuridici speciali” e quindi varie tipologie di interventi costituzionali per fronteggiare le situazioni di crisi e di emergenza. Comunque, sono poteri che il governo riceve dal parlamento, il quale deve votare la dichiarazione di qualsiasi stato di eccezione e svolgere altresì una verifica di legittimità sulla dichiarazione di emergenza ( art. 48 ( 6)). Pertanto, quando si dice che Orbán si è preso i pieni poteri si dimentica di dire che li ha ottenuti attraverso un voto del parlamento. Almeno formalmente.

L’applicazione dell’art. 48 della costituzione di Weimar, voluta per ben 250 volte dai presidenti Ebert prima e von Hinderburg dopo, ha fatto della Germania, sorretta da quella innovativa costituzione repubblicana che proclamava per la prima volta i diritti sociali, una democrazia pericolante, che cadde rovinosamente con l’avvento al potere di Adolf Hitler, la quale avvenne non con atto rivoluzionario ma piuttosto per il tramite delle elezioni del nuovo Reichstag.

L’applicazione dell’art. 53 della costituzione ungherese, sebbene dovuta alla necessità di combattere l’epidemia del coronavirus, consolida quella certa idea di stato, che Orbán ha fortemente teorizzato e poi praticato: la cd. democrazia illiberale. Famoso è il discorso che tenne nel luglio 2014, dove affermava: «solo perché uno Stato non è liberale può ancora essere una democrazia il nuovo Stato che costruiremo in Ungheria non sarà uno Stato liberale, sarà uno Stato democratico non liberale».

E’ questo il punto della politica governativa di Orbán: volere teorizzare e praticare un ossimoro costituzionale. Una contraddizione della storia. Uno sparigliamento dello stato di diritto. E’ altresì un inganno concettuale associare la democrazia all’illiberalismo. Le catastrofi politiche del XX secolo, lo ricorda Hanna Arendt, hanno avuto inizio da eufemismi e da un uso impreciso del linguaggio. Democrazia illiberale è un temine che non esiste nel vocabolario del costituzionalismo. L’unica democrazia effettiva è quella liberale, quale naturale evoluzione del costituzionalismo, così come si è configurato già negli Stati Uniti d’America sul finale agli inizi dell’Ottocento e poi come si è sviluppato in Europa nella seconda metà del Novecento, e quindi principio di eguaglianza e diritti di libertà. Senza il costituzionalismo liberale la democrazia non sarebbe semplicemente inadeguata, ma pericolosa, portando con sé, oltre all’erosione della libertà, l’abuso del potere, le divisioni etniche, il nazionalismo becero.

Chi oggi azzarda una comparazione fra l’Italia dei decreti e l’Ungheria dei pieni poteri, ignora lo sfondo costituzionale, quella che i costituzionalisti chiamano la forma di stato, dei due Paesi. Che prescinde la fase emergenziale perché caratterizza in forma permanente due Weltanschauung, cioè due visioni del mondo opposte: democrazia liberale versus pseudo- democrazia illiberale. La storia ci ha insegnato da che parte stare.

* vicepresidente Cnr