«In una situazione di crisi come questa, l’avvocatura deve rimanere un punto di riferimento. Saremo sempre pronti a difendere la libertà degli individui, ma non accettiamo comportamenti perversi da chi fa parte della categoria». A dirlo al Dubbio è Angelo Proserpio, presidente dell’Unione lombarda ordini forensi, che ha stigmatizzato il comportamento di quegli avvocati che hanno approfittato dell’emergenza coronavirus per accaparrarsi nuovi clienti. Presidente, il CoA distrettuale ha duramente stigmatizzato gli avvocati che si sono offerti di difendere, gratuitamente, medici e infermieri, per ogni possibile conseguenza legale delle condotte tenute durante l’emergenza sanitaria. Per quale motivo? Intanto per aver voluto accaparrarsi clientela in modo non corretto e indecoroso, violando l’articolo 37 del codice deontologico. Pensare a come potrò lavorare domani mentre c’è gente che in questo momento sta dando l’anima per curare gli altri è inaccettabile. La motivazione di fondo, più importante, è che questi avvocati propongono di difendere medici e infermieri, in questo modo rinunciando a principi fondamentali della nostra professione che sono indipendenza e autonomia. Dichiarare che si è avvocati di medici e infermieri significa precludersi la possibilità di difendere coloro che potrebbero avere interesse di intentare cause contro quelle categorie, legittimo o meno che sia. Ma c’è anche una terza questione, più subdola. Quale? Dire di difendere gratuitamente medici e infermieri senza spiegare che la gratuità è anche per la struttura di appartenenza e le compagnie di assicurazione, vuol dire avere una riserva mentale gravissima in questo momento. E manca trasparenza. Ci sono però anche studi legali che invitano a far causa a medici, tant’è che la Federazione nazionale dell’ordine dei medici ha chiesto al Cnf di rafforzare la vigilanza sulla deontologia. Anche in questo caso, il rischio è disturbare il lavoro gigantesco, immenso e faticosissimo che stanno facendo medici e infermieri, instillando loro il dubbio sul proprio operato e sulla possibilità, un domani, di essere chiamati a risponderne. Tant’è vero che è stato proposto un emendamento al decreto Cura Italia affinché non possano essere ritenuti responsabili di negligenza, per colpa, i medici che avrebbero commesso qualche errore grave curando pazienti con casi di Covid, rispondendo solo in caso di dolo. Questo sta a dimostrare l’esigenza di non interferire con chi è in prima linea. Insomma, la difesa del diritto alla salute va al di là del corporativismo. In questo momento la presa di posizione degli avvocati su queste due questioni non va nell’interesse della categoria in senso stretto, l’interesse principale è la cura della salute. Poi, se vogliamo, c’è l’interesse della categoria a non essere danneggiati da colleghi scorretti, ma questo viene dopo. Anche gli avvocati risentono degli effetti dell’emergenza con pesanti risvolti professionali. Il sostegno al reddito di 600 euro previsto dal Cura Italia è sufficiente? Innanzitutto prendiamo atto con piacere che ci sia stata queste estensione anche ai liberi professionisti. Ma il problema varia da territorio a territorio, anche in Lombardia non tutti hanno le stesse difficoltà che hanno, ad esempio, i colleghi di Bergamo. Allora bisognerebbe chiamare in causa Cassa Forense, avendo a disposizione somme da destinare sotto la voce assistenza, in modo che faccia riferimento in primo luogo ai bisogni territoriali, poi alle fasce di reddito e infine a coloro che sono regolari sotto il punto di vista contributivo. Una delle occasioni che bisognerebbe non perdere in questo dramma è quella di fare pulizia anche nei nostri albi, perché ci sono circa 20mila iscritti che non comunicano il reddito professionale e il volume d'affari. Questo in subordine a quello che può fare il governo. Come si può, ora, a coniugare l’obbligo di chiusura degli studi legali con la la tutela del diritto ad una difesa effettiva? Gli strumenti per lavorare da remoto ci sono, ma siamo presenti quando è indispensabile per la qualità della difesa dei diritti. Quello che vorremmo evitare è di essere lasciati su un binario morto per tutta quella attività che appartiene alla fascia degli affari sospesi, perché non urgenti, ma che per noi rappresentano lavoro e sono di interesse anche per la stessa amministrazione della giustizia. La necessità di smaltire l’arretrato non è venuta meno solo perché siamo in questa situazione. I capi degli uffici sono costretti a prendere decisioni che limitano la possibilità di intervenire in quanto a corto di personale amministrativo. Ma se si sospende la liquidazione delle spese legali perché non è considerato urgente portare a termine il procedimento esecutivo, l’avvocato non ha quello che sta aspettando di avere da chissà quanto tempo. Quanto sono compromessi i diritti in una situazione del genere? Siamo in una situazione in cui bisogna inforcare occhiali con altre lenti. La Costituzione italiana declina dei principi fondamentali, ma quando ci si trova in queste situazioni i principi fondamentali non sono tutti uguali, hanno una gerarchia. Il diritto di tutela della salute viene prima di ogni cosa e bisogna abituarsi al fatto che non ci troviamo in una situazione di pace, ma di guerra. Non si deve sacrificare nulla, ma ci sono delle priorità. Di sicuro non si può conculcare il diritto alla libertà, questo in modo assoluto. Qual è il contributo che può dare l’avvocatura in questo momento? Intanto dare un segno di compostezza. Servono austerità e consapevolezza di essere un punto di riferimento per tutta la comunità. E possiamo esserlo, perché laddove siamo chiamati noi ci siamo senza distinzioni. E poi bisogna collaborare con gli organi istituzionali dell’amministrazione giudiziaria e una volta tanto essere d’accordo.