La macchina della giustizia italiana reagisce alla crisi sanitaria, mettendo in campo nuovi strumenti informatici e paradigmi organizzativi. «Grazie al lavoro instancabile del personale del dipartimento che si è impegnato per dare risposta alle necessità di magistrati e personale amministrativo, siamo riusciti ad attivare meccanismi organizzativi efficaci e il ministro Bonafede è sempre stato al nostro fianco», ha confermato Barbara Fabbrini, capo del dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi presso il Ministero della Giustizia.

Quali passi sono stati fatti per garantire il funzionamento della giustizia anche in emergenza?

Ci siamo mossi a 360 gradi e per step, partendo da un dato: ci riferiamo a una platea molto ampia che comprende oltre 10mila magistrati, 36mila dipendenti e 5mila magistrati onorari circa, cui vanno sommate le altre professionalità interconnesse, come gli avvocati. Insomma siamo un’amministrazione centrale ma numerosa e fortemente ramificata nel territorio. I passaggi sono stati prima la dotazione di strumenti tecnologici; poi la creazione di strumenti organizzativi; infine la spinta alla formazione a distanza.

Quanto è stato complicato questo processo?

Sicuramente ha richiesto un enorme sforzo da parte di tutto il personale del dipartimento, che non si è risparmiato. Tuttavia, partivamo già da un buon livello rispetto al resto della pubblica amministrazione, sia per quanto riguarda l’infrastruttura tecnologica che la capacità di utilizzo da parte di tutti i soggetti interessati.

Partiamo dalla dotazione di strumenti tecnologici. Da che livello si è partiti?

Rispetto al resto della pubblica amministrazione, il settore della giustizia si trova già in una condizione più avanzata. Grazie al processo civile telematico introdotto nel 2014, gli uffici sono già dotati dell’attrezzatura necessaria, della infrastruttura e dei server necessari per permettere il lavoro da remoto. Inoltre, tutti i magistrati sono già dotati di personal computer e smart card; stiamo verificando di completare le abilitazioni per chi non le avesse effettuate in passato. Per il personale amministrativo, ovviamente, questo non è possibile, ma i dipendenti che hanno dato la disponibilità allo smart working con dispositivi propri sono stati seguiti nell’installazione degli applicativi. Certo è che, in futuro, potranno essere fatte altre riflessioni per favorire in modo strutturale il lavoro agile per tutti.

Dal punto di vista organizzativo, è stato possibile creare prassi omogenee su tutto il territorio nazionale?

L’indicazione del Ministero è stata quella di dare forte impulso al lavoro agile ma soprattutto di creare delle logiche organizzative per l’emergenza sanitaria che fossero replicabili su tutto il territorio. Prima si è trattato di rispondere alle esigenze strettamente sanitarie, poi di permettere le udienze da remoto, ma anche di attivare i servizi necessari per rendere possibile l’espletamento di tutte le funzioni amministrative. Per farlo, abbiamo tenuto numerose call conference con i vertici di tutti i distretti, in modo da creare le migliori condizioni organizzative possibili, anche in territori in cui la situazione è molto difficile, come nel nord Italia più colpito dal virus.

Come hanno risposto i territori?

Molto bene, da nord a sud. In moltissimi distretti le udienze hanno iniziato a svolgersi da remoto, Milano, Roma; Salerno, Napoli solo per citare alcuni degli uffici, come anche le riunioni dei magistrati ad esempio per i consigli giudiziari, Firenze in questo ha aperto proprio l’altro giorno la strada . L’applicativo che stiamo utilizzando permette di lavorare bene e di coinvolgere anche gli altri soggetti esterni, come gli avvocati e le forze dell’ordine. I territori, nonostante il momento delicato, si sono mostrati molto dinamici e hanno iniziato subito a dotarsi di prassi organizzative attraverso protocolli tra tribunali, procure e avvocatura. Noi monitoriamo ogni cosa, pur garantendo la piena autonomia degli uffici: l’obiettivo futuro è esportare le prassi virtuose e anche immaginare che possano produrre evoluzioni normative, utili anche una volta conclusa l’emergenza. E proprio su questo il Ministro sta ponendo attenzione, anche nella logica peculiare di normazione che accompagna questo momento.

In che modo è stata affrontata la necessità di formare il personale ai nuovi strumenti organizzativi?

Abbiamo reso disponibile a tutti la piattaforma di e- learning che era stata predisposta per i percorsi concorsuali. Ora tutto il personale dipendente e i magistrati possono accedere ai moduli formativi tematici, che vanno dal funzionamento della “camera virtuale” dell’applicativo in uso ai servizi di cancelleria, fino ai vademecum per l’installazione dei software necessari. Nei giorni scorsi si è tenuta una web conference con 1800 magistrati, che verrà ripetuta anche per omologare le modalità di organizzazione su tali applicativi.

Si può già fare qualche riflessione su come la macchina della giustizia sta reagendo all’emergenza?

Io credo che questo momento di estrema difficoltà stia obbligando al salto organizzativo e tecnologico che non si era riusciti a compiere per molti anni. Da tempo ad esempio si discuteva di smart working con i sindacati e vi erano state aperture, ma facevamo fatica a immaginare un funzionamento concreto dei meccanismi, soprattutto per i limiti normativi a tale tipologia di lavoro. L’emergenza ci ha costretti trovare nuovi paradigmi.

Qual è stata la risposta dei dipendenti?

Ottima, stando al numero di accessi alla piattaforma informatica. Il tutto è costato un grosso impegno per la direzione generale dei sistemi informativi, ma il risultato è visibile, e siamo estremamente contenti per la risposta del personale e dei magistrati. Ogni progresso è seguito attraverso call periodiche con i vertici dei distretti e uno dei dati emersi è che l’utilizzo del lavoro agile è molto più intenso al nord, dove l’emergenza è più forte, con due terzi dei dipendenti operativi da remoto. Al centro sud, invece, si procede con maggiore calma perché le esigenze sono diverse. Tuttavia la logica che guida queste nuove procedure è unitaria.

Se sul fronte civile il pct aveva già portato a una digitalizzazione dei processi, quello penale è stato più complicato da gestire?

Paradossalmente, proprio sul fronte penale c’è molto fermento e stanno nascendo protocolli su tutti i territori, per costruire nuovi flussi organizzativi che permettano di gestire le necessità. Al momento, l’infrastruttura telematica permette di svolgere regolarmente le udienze in videoconferenza.

Tutto questo ha comportato costi aggiuntivi per il ministero?

No, perché il grosso investimento in infrastruttura telematica era già stato fatto negli anni scorsi. Di fatto, si sta solo ampliando la platea degli utilizzatori ma con una struttura forte non fa differenza permettere l’accesso a mille o a quindicimila utenti. L’emergenza sta facendo sì che si utilizzi in modo più performante una infrastruttura che prima era sottoutilizzata. Gli unici veri costi aggiuntivi e non ancora quantificati riguardano le sanificazioni delle strutture, l’acquisto di mascherine, guanti e detergenti. Abbiamo attinto al fondo per le emergenze, che stiamo implementando, ma il Ministero è andato incontro a tutte le legittime esigenze degli uffici per la sicurezza del personale e dell’utenza.