Come è noto, già nel pieno dell’emergenza da COVID- 19 – dopo una serie di informazioni contraddittorie, di iniziative estemporanee e di una attesa forse eccessiva – il Governo ha preso una serie di misure per contrastare il diffondersi del coronavirus: soprattutto provvedimenti in materia di diretta emergenza sanitaria, ma anche relativi alla conseguente crisi economica e persino provvedimenti che riguardano il diritto penale e le libertà fondamentali.

Qui il testo di riferimento era il d.l. 23.2.2020, n. 6, recante «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19» (poi convertito, con modificazioni, dalla l. 5.3.2020, n. 13), il quale, all’art. 3, comma 4, prevedeva che il Presidente del Consiglio dei Ministri potesse adottare decreti con misure di contenimento la cui violazione era punita ai sensi dell’articolo 650 del codice penale, che appunto sanziona la inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità legalmente dati per le ragioni previste (tra cui quelle di natura sanitaria). Peraltro, ai provvedimenti del Presidente del Consiglio si erano aggiunte numerose ordinanze adottate dai Presidenti delle Regioni e persino da Sindaci. Tale modo di produzione normativa aveva prodotto argomentate censure. Ricordo le principali: a) pur se (nell’opinione prevalente) possibile, il ricorso a norme penali in bianco, come l’art. 650 c.p. o (se si ritenesse che avesse “vita autonoma”) l’art. 3, comma 4, del d.l. n. 6/2020, si può ammettere solo se in presenza di provvedimenti “attuativi” dotati di sufficiente precisione nei contorni delle condotte vietate, cosa che non sembrava essere del tutto assicurata dai vari provvedimenti emessi, che sembravano talvolta dare consigli, piuttosto che imporre obblighi; b) peraltro, qualche procura (come quella di Milano), utilizzando la clausola di riserva “se il fatto non costituisce un più grave reato”, aveva pensato di ricorrere alla più severa contravvenzione prevista dall’art. 260 del testo unico delle leggi sanitarie del 1934, n. 1265, che punisce “chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l'invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell'uomo” con le pene congiunte dell’arresto e dell’ammenda; c) le moltissime violazioni contestate (secondo i dati disponibili sul sito del Ministero dell’Interno, tra l’11 e il 24 marzo, sono state denunciate ben 100.000 persone), avrebbero certamente ingolfato il sistema processuale penale, pur se si fosse fatto ricorso a decreti penali di condanna; d) in ogni caso, sarebbe stato preferibile che fosse stata direttamente la legge – o una fonte parificata, come i decreti-legge, tipici delle situazioni di emergenza ed urgenza, ma adottati dal Governo nella sua collegialità e comunque soggetti alla conversione in legge – a limitare la libertà personale (e voglio ricordare la lettera di Giovanni Guzzetta, pubblicata proprio su Il Dubbio). Ora il Governo è intervenuto con il d.l. 25.3.2020, n. 19, recante (ulteriori) “misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Innanzitutto va segnalato come l’art. 5 di tale decreto-legge abroghi (salvi parti qui non rilevanti) l’intero d.l. 6/2020. Dunque, sembrano essere superati i dubbi del passato, sopra riassunti. E quindi aveva ragione chi, sia pur in tempi di coronavirus, si era permesso di ragionare e di esprimere un “Dubbio”! A proposito, con una (opportuna) norma transitoria, il nuovo decreto-legge stabilisce che le nuove disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, contestualmente introdotte, si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà. Ovviamente, ciò avverrà con trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente, da parte dell’autorità giudiziaria.

Inoltre, nel decreto-legge del 25 marzo: a) l’art. 1 contiene una elencazione di misure che possono essere adottate secondo princìpi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso; a) di regola, tali misure sono adottate con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri o, in casi di estrema necessità ed urgenza, dal Ministro della Salute; b) nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio, e con efficacia limitata fino a tale momento, le regioni possono introdurre misure ulteriormente restrittive, esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale; c) i sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con le misure statali.

Ma soprattutto si prevede che, salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure sopra menzionate è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano le sanzioni previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità. Se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo. In taluni casi, si prevede che sia possibile applicare anche la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni.

Tuttavia, salvo che il fatto costituisca violazione dell’articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, perché risultate positive al virus, è punita ai sensi del ricordato art. 260 regio decreto 27.7.1934, n. 1265, le cui pene sono state aggravate dal d.l. 19/2020. Invece, è applicabile l’illecito amministrativo sopra riportato per l’inosservanza della quarantena precauzionale per i soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che rientrano da aree ubicate al di fuori del territorio italiano.

Finalmente un passo avanti, certo non decisivo e privo di ombre, ma che va nella direzione del rispetto delle garanzie costituzionali, sia pur in un momento di emergenza.

*Ordinario di Diritto penale nell’Università di Palermo