Quanto può resistere la popolazione italiana? E' questa la domanda che assilla il governo e ancor più il Colle e che spiega sia l'immagine che il premier ha inteso restituire agli italiani nella conferenza stampa di martedì che la sua politica di appeasement. E' una preoccupazione fondata e non riguarda solo questioni relativamente futili come il sospeso diritto alla corsetta quotidiana dei runners. La strategia del distanziamento sociale costa carissima e i primi a pagarne i prezzi sono quelli che hanno di meno: precari, giovani e meno giovani che campano di lavoro nero, famiglie monoreddito senza più quel reddito, locatari che aspettano con terrore la fine del mese senza sapere se l'affitto, che a volte è un lusso ma altre volte la base del sostentamento, arriverà o no.

Non sussiste il timore che la bomba esploda entro pochi giorni, ma entro poche settimane sì. Non è affatto detto, ha giustamente precisato Conte in conferenza stampa, che l'emergenza debba arrivare al 31 luglio, anzi si prevede che finirà molto prima. Quando però non lo ha detto né avrebbe potuto azzardare previsioni. Non lo sa lui come non lo sa nessuno e le speranze che le porte delle case possano riaprirsi subito dopo pasqua, di fatto una deadline per la tenuta del Paese, ci sono ma non somigliano neppur vagamente a certezze.

Proprio per questo il messaggio via Fb di sabato dello stesso Conte era stato giudicato disastroso e controproducente. Il premier, in quell'occasione era apparso spaurito e sbandato, quasi sopraffatto dall'emergenza. Non aveva saputo trovare né la parole né le espressioni mimiche per rincuorare il suo Paese, incoraggiarlo, far leva sull'orgoglio e la capacità di resistenza dei cittadini. In parte, la conferenza stampa di martedì è servita proprio a riparare a quel danno. Conte si è mostrato tranquillo e calmo, ha abbondato in elogi rivolti alla popolazione, ha rassicurato sui rischi, inesistenti, di “militarizzazione del Paese”, ha rivendicato i risultati del suo governo sottolineando quelli più soddisfacenti, la capacità di moltiplicare in tempi celeri i reparti di intensiva e subintensiva, senza nascondere alcuni errori di valutazione, peraltro comuni a tutti o quasi i governi che si sono trovati ad affrontare una emergenza imprevista neppure nelle più sbrigliate e cupe fantasie.

Quei toni, sul Colle e nello stesso governo, sono stati apprezzati tanto quanto erano stati accolti con disappunto quelli di due giorni prima. Perché con quel messaggio solido e rassicurante senza però degenerare in minimizzazione, Conte è apparso consapevole di dover stringere un'alleanza con i cittadini, senza la quale, nella probabile eventualità che l'emergenza si prolunghi, la tenuta del Paese sarebbe impossibile.

Quel patto però deve essere stretto non solo in termini ci comunicazione e immagine con gli italiani, ma anche, tramite passi concreti, con gli attori sociali e politici: con i sindacati, con le Regioni, con l'opposizione. Una crisi anche profonda ma rapida potrebbe essere affrontata senza curarsi troppo di un consenso unitario delle parti politiche, sociali e istituzionali. In una crisi lunga, di durata imprevedibile, tale da mettere a dura prova le condizioni materiali di milioni di persone, la rotta deve essere tutt'altra.

La regia di questa offensiva diplomatica è in tutta evidenza nelle mani di Sergio Mattarella. E' stato lui ad appianare almeno in parte il contrasto tra governo e opposizione, spingendo Conte ad aprire un dialogo reale a partire dai contenuti del prossimo e fondamentale decreto economico, quello che vedrà la luce in aprile. Da ancora prima delle proteste del centrodestra, inoltre, Mattarella insiste perché venga rispettata ed esaltata la centralità del Parlamento. Le proteste dei costituzionalisti, tra cui la lettera al capo dello Stato di Giovanni Guzzetta, pubblicata dal Dubbio e sottoscritta da 300 firme, per un ritorno all'uso del regolare decreto legge invece dell'incontrollabile e sfuggente decreto della presidenza del consiglio, hanno certamente trovato ascolto sul Colle e di lì sono rimbalzate sino a palazzo Chigi, smussando anche per questa via gli spigoli del confronto tra governo e opposizione.

Sono poi stati molto probabilmente gli uffici legislativi del Quirinale a trovare la formula che permette di superare il conflitto tra governo centrale e regioni: una cornice e linee guida dettate del governo, ma all'interno una notevole autonomia lasciata alle amministrazioni regionali subordinata però al consenso vincolante del presidente del consiglio. E' ancora il capo dello Stato ad aver detto chiaramente al premier che uno scontro con i sindacati, senza contare la possibilità devastante di uno sciopero generale, non può essere neppure presa in considerazione. Quel rischio sarà quasi certamente evitato, grazie a una revisione più restrittiva della lista delle attività “essenziali” e dunque non soggette a una sospensione che andrà certamente la data sin qui indicata del 3 aprile.

Il governo, insomma, si è reso conto della necessità di garantire la coesione. E' un passo necessario ma che non basta certo a restituire un po' di sicurezza a chi dal “distanziamento sociale” e dalla crisi è già duramente colpito. Quella sarà la sfida del decreto economico di aprile.