Si dice che è una guerra. Le vittime di una guerra possono essere più numerose, sì. Però come nelle grandi e tragiche vicende belliche del 900, anche nell’emergenza coronavirus un’intera comunità nazionale è mobilitata contro il nemico. Una prima analogia. Ce ne sono altre. Una, inquietante, è evocata nelle parole di Antonio De Angelis, presidente dell’Associazione italiana giovani avvocati: «Rischia di sparire un’intera generazione di avvocati. Come in guerra». Appunto. E forse da nessun altro punto di osservazione, meglio che dal vertice dell’Aiga, si percepisce un simile allarme.

Partiamo dal decreto Cura Italia: ha certificato che tra politica e professioni c’è un solco irrecuperabile?

Mi pare di sì. Siamo stati di fatto ignorati dal provvedimento. Non è la prima volta: è un trend. Paradossale, se si pensa quanto numerosi siano i professionisti, e in particolare gli avvocati, nella classe politica.

Come si spiega?

Ci si è rifugiati nella comoda idea per cui ci avrebbero pensato le Casse private, come Cassa forense nel nostro caso. C’è un piccolo particolare: per allargare le maglie tali enti di previdenza dovrebbero ottenere un via libera straordinario dal governo. E non mi sembra di intuire una rivoluzione dietro l’angolo, diciamo.

A voler dare l’idea di quante sono le persone ignorate dal “Cura Italia”, solo per parlare di chi vive del lavoro degli avvocati, a che cifra si deve pensare?

Ai 240mila iscritti si devono aggiungere diverse decine di migliaia di praticanti e il personale di segreteria: senza consultare una statistica comunque non immediatamente accessibile, parliamo di circa 400mila persone, oltre un milione con le loro famiglie.

Ma fra questi numeri c’è una ferita scoperta, un punto debole.

A cosa si riferisce?

Alla fine di questa crisi probabilmente assisteremo alla scomparsa di una generazione di avvocati. Molti dei 30enni che oggi esercitano la professione avranno probabilmente difficoltà a resistere. E proveranno a fare altro.

Perché crede che ci siano loro, nella prima linea più esposta?

Premetto una cosa: rischiamo di veder polverizzati sia la generazione dei 30enni già attivi negli studi sia i giovanissimi che devono scegliere a quale università iscriversi. Calerà ancor di più il numero degli immatricolati a Giurisprudenza. E anche tra chi otterrà la laurea in Legge, in molti punteranno ai concorsi anziché alla professione forense.

Qual è esattamente la dinamica che lei immagina?

Ci sono tanti colleghi che lavorano come collaboratori di studio e che pagheranno per primi gli effetti della crisi. Saranno soprattutto loro a essere sacrificati dai “dominus” con i quali lavorano come monocommittenti. Diversamente da quanto avviene per il personale di segretaria, al giovane avvocato collaboratore di studio, a partita Iva, non spetta né Tfr né indennità di mancato preavviso. Non ha tutele.

Ma si tratterebbe di perdite gravissime, sul piano qualitativo.

Certo. È come in guerra, quando intere generazioni di giovani venivano decimate. Ci sarà un vuoto demografico nella professione.

L’avvocatura rischierebbe di uscirne indebolita pure sul piano politico. O no?

Ma sì, certo. I giovani avvocati tendono a farsi sentire, a lottare di più. È chiaro che non si può generalizzare, ma è fisiologico che un professionista avanti con l’età tenda più frequentemente a concentrarsi sull’acquisizione di nuovi clienti, sul consolidare la propria posizione, e magari meno su temi di interesse generale.

È possibile che un altro effetto della crisi sia una minore dignità nei compensi?

È un altro scenario possibile. In tanti, pur di provare a restare aggrappati alla professione, potrebbero rassegnarsi più facilmente a compensi poco dignitosi, a condizioni di lavoro peggiori.

Che interventi servono per scongiurare un esito così pesante?

Non credo che abbia senso pensare a misure dirette di sostegno al reddito come i 600 euro del Dl Cura Italia. Sarà forse essere un aiuto per i redditi più bassi, ma in generale credo che il sollievo più efficace possa venire dalle misure fiscali, come ha già segnalato l’Ocf. Penso a interventi sia del governo sia affidati a Cassa forense, a cominciare dallo sblocco dei compensi per chi ha svolto incarichi di patrocinio a spese dello Stato, attività praticata soprattutto dai giovani avvocati. Sarebbe una boccata d’ossigeno. Poi al rallentare dei guadagni dovrebbe corrispondere una congrua rateizzazione dei contributi. Alcuni potrebbero essere anche annullati, ma l’importante è dilazionare.

Altrimenti il “genocidio professionale”, lei dice, sarà inevitabile.

Sì. Di fronte a una disparità di trattamento come quella riservata ai professionisti dal Cura Italia, c’è chi rinuncerà in partenza a fare l’avvocato, e chi, dopo aver cominciato, lascerà perdere. È inevitabile.