Nella costruzione del decreto Cura Italia si può dire che gli avvocati avevano assunto un ruolo da coprotagonisti. Rispetto agli interventi sulla procedura, s’intende. E la presidente facente funzioni del Cnf, Maria Masi, non esita a ricordarlo: «Sono stati apportati interventi sulla giustizia atti a chiarire dubbi interpretativi, e a colmare lacune, anche per effetto delle sollecitazioni e delle espresse richieste dell’avvocatura», nota il vertice della massima istituzione forense a proposito del maxi provvedimento, in vigore da ieri. Ma proprio Masi, nella sua nota, mette in risalto uno squilibrio che si fa tanto più inspiegabile proprio alla luce di quel contributo normativo: è «grave», dice la presidente del Cnf, «la mancanza di altrettanta cura e sensibilità per la tutela dei professionisti e in particolare per gli avvocati, a cui non è diretta, se non in maniera esigua, derivativa e residuale, alcuna forma di sostegno economico». A professionisti e avvocati, fa notare Masi, non viene assicurata alcuna «tutela» in una situazione «destinata a durare ben oltre l’emergenza sanitaria, le cui ripercussioni negative sulla professione e, di conseguenza, sul reddito degli avvocati, sono destinate a durare a lungo». Un’amnesia di fronte alla quale «il Consiglio nazionale forense avrà cura, raccolte le istanze dell’avvocatura, di formalizzare una proposta emendativa finalizzata a intervenire nei settori che ancora necessitano di correttivi e all’individuazione di forme dirette di sostegno e di tutela compatibili con la professione di avvocato e in linea con i principi a cui si ispira».

Il Cnf: bene sforzo per salute, scelte problematiche su penale

Si tratta di verificare se anche sul piano dei sostegni economici il governo si mostrerà pronto a recepire le sollecitazioni della professione forense. Lo aveva fatto innanzitutto il guardasigilli Alfonso Bonafede rispetto alle misure previste per la sospensione dell’attività giudiziaria, e dei termini, fino al 15 aprile. Sempre la presidente del Cnf rileva, «dall’analisi del maxi decreto Cura Italia», la «condivisibile preoccupazione del governo di ampliare, in questa fase di emergenza per la diffusione del Covid-19, la tutela della salute dei cittadini, anche e soprattutto, nell’ambito del lavoro dipendente e in parte in quello autonomo. In quest’ottica», ricorda in particolare Masi a proposito delle correzioni suggerite, nel Dl, proprio dagli avvocati, si è realizzata «l’estensione delle esigenze di tutela ai settori civile, amministrativo e tributario declinandone le specificità». Mentre «per il settore penale, destano perplessità la sospensione dei termini di custodia cautelare e delle altre forme coercitive e interdittive, oltre agli ulteriori oneri a carico dei difensori per la notifica delle impugnazioni». Anche rispetto alle misure messe in campo per ridurre, nei limiti del possibile, l’attività giudiziaria e le occasioni di contagio, ci si trova dunque, secondo il Consiglio nazionale forense, di fronte a un «apprezzabile ma evidentemente non adeguatamente sufficiente sforzo di contemperare gli interessi e di riequilibrare diritti altrettanto degni di tutela».

L’Aiga: «Il Dl? Se avanzano soldi li diamo ai professionisti...»

Il punto è l’equilibrio che manca appunto, fra l’attenzione alle richieste avanzate da istituzioni e rappresentanze forensi per la tutela della salute, da una parte, e dall’altra l’evidente superficialità, se non il totale oblio, rispetto alla condizione economica degli avvocati. E oltre al Cnf è anche l’Aiga a sollevare in modo impietoso i limiti del decreto Cura Italia: «Se avanza qualcosa, la diamo ai liberi professionisti», è la sintesi che, secondo l’Associazione giovani avvocati, si rischia di dover evocare per le scelte del maxi decreto. Che «non contiene di fatto alcuna concreta misura in favore dei liberi professionisti, e in particolare dell’avvocatura». Del «reddito di ultima istanza», ricorda l’Aiga, sarà attribuita «ai liberi professionisti iscritti alle casse private» soltanto «una quota eventuale e residuale del fondo istituito, che non potrà essere superiore a qualche decina di euro». E in attesa delle correzioni che a questo punto l’avvocatura potrebbe sollecitare con la proposta anticipata dal Cnf, i giovani avvocati chiedono l’intervento urgente di Cassa forense. Ad esempio, così come ipotizzato anche dall’Ocf, «la cessione, pro-soluto, dei crediti che gli avvocati hanno nei confronti dello Stato per le prestazioni rese in regime di patrocinio a spese dello Stato e già liquidate». Si punta anche all’ingegnosa ipotesi di «strumenti straordinari di credito» agevolati «anche a sconto dei crediti che i colleghi vantino nei confronti dei rispettivi clienti».

L’Unaa: complicazioni in alcuni passaggi del Cura Italia

Quasi a enfatizzare la paradossale impalpabilità del trattamento riservato alle professioni, e agli avvocati, si rivela preziosissimo e chiarificatore il contributo di analisi offerto dalla professione forense sui contenuti del decreto Cura Italia in materia di giustizia. Basti pensare che poche ore dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del provvedimento, avvenuta verso le 3 di notte di ieri, è una nota dell’Unione nazionale avvocati amministrativisti a proporre dettagli del testo finora sottovalutati nella loro portata. Uno fra tutti: «I presidenti di sezione del Consiglio di Stato e i presidenti dei Tar possono assumere misure per rispondere alle indicazioni igienico-sanitarie, ivi compresa la possibilità di rinviare tutte le udienze di merito a dopo il 30 giugno prossimo». Ipotesi anticipata anche dal massimo vertice di Palazzo spada Filippo Patroni Griffi in un’intervista di pochi giorni fa a questo giornale. Ma che fa un certo effetto una volta inserita in un testo di legge: dà l’idea di come l’emergenza coronaviurus rischi di costringere la giustizia, certo non solo quella amministrativa, a una semiparalisi prolungata assai oltre il 15 aprile, quando cesserà la “sospensione feriale straordinaria”. L’Unaa si sofferma anche su altri aspetti: «È importante che non vi siano termini da dover rispettare fino al 15 aprile, che avrebbero imposto agli avvocati un’attività lavorativa potenzialmente pericolosa nell’emergenza sanitaria di questi giorni», si legge nel comunicato degli amministrativisti. Che però segnalano anche più di una «complicazione», come l’aver introdotto «una normativa derogatoria valevole solo per le udienze tra il 6 e il 15 aprile». Si tratta di un «giudizio complessivamente positivo», che non tace d’altra parte il rammarico per il mancato ricorso alla «discussione da remoto anche nel periodo fino al 30 giugno».

L’Unione tributaristi: «Udienze telematiche subito o è paralisi»

Se Unaa «confida» che la soluzione per ora del tutto esclusa venga concretata «nel periodo immediatamente successivo», l’Unione nazionale degli avvocati tributaristi la sollecita come una delle ultime possibilità per arginare «una pressocché totale paralisi a tempo indeterminato dell’amministrazione della giustizia». Servono «interventi urgenti» per assicurare la «tutela dei diritti e degli interessi legittimi», a cominciare appunto dalla «attuazione» di«quella parte della disciplina del processo tributario telematico che consente alle parti processuali di chiedere che la discussione in pubblica udienza innanzi alle commissioni tributarie avvenga a distanza per via telematica». Secondo l’Uncat, «soprattutto nell’attuale situazione non sono ammissibili tentennamenti» e si deve perciò procedere «in tempi strettissimi agli adempimenti amministrativi», necessari perché la «giurisdizione tributaria» sia esercitata in via telematica.Si tratta di ritardi colti dall’avvocatura come segno della «difficoltà di operare nel pieno di una emergenza sanitaria epocale», per citare ancora l’Aiga. Ma non per questo la professione forense pare disposta a tollerarne la persistenza, una volta che li si è esposti con tale chiarezza.