Consultarsi. «Sì, e capirsi, aggiungerei». Filippo Patroni Griffi è un presidente che non può concedersi pause. Come molti. È così se, come vertice del Consiglio di Stato, si deve fare i conti con una duplice esigenza: garantire continuità al servizio giustizia e trovare soluzioni che limitino il più possibile i rischi di contagio. In una simile ottica, nelle scorse ore, si è avuto un confronto, fra il presidente del Consiglio di Stato e l’avvocatura, sul modo di interpretare il regime della sospensione dei termini per la giustizia amministrativa. «Con il Foro», spiega Patroni Griffi, «da tempo ci confrontiamo e collaboriamo: ora questi contatti vanno intensificati. Lo impongono le circostanze. Ma bisogna farlo con chiarezza».

A cosa si riferisce in particolare?

Ai rilievi che due associazioni rappresentative degli avvocati amministrativisti, Unaa e Siaa, mi hanno trasmesso riguardo alla questione della sospensione dei termini introdotta dal decreto legge 11 dell’ 8 marzo. Da questa sospensione, secondo il parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato, dovrebbero intendersi esclusi i termini endoprocessuali. Interpretazione funzionale, a mio giudizio, a preservare il più possibile la continuità del “servizio giustizia”. Lunedì, in un incontro con Avvocatura dello Stato, Cnf, Ocf, Siaa, Unaa e Unaep, avevo esplicitamente prospettato tale soluzione. Nessuno dei presenti mi aveva espresso obiezioni. Il giorno dopo Unaa e Siaa mi hanno inviato lettere di dissenso. Non lo dico con animo polemico, ma credo che, proprio per la evidente utilità di simili incontri, sia preferibile, la prossima volta, registrare quanto ci diciamo. In modo che, all’indomani, non possano sorgere equivoci.

Il dpcm che limita ulteriormente attività e spostamenti cambia il quadro e impone scelte ulteriori anche per la giustizia?

Esattamente. L’aggravarsi dell’emergenza coronavirus richiede probabilmente ulteriori interventi radicali anche per la giustizia. È quanto ho prospettato in una lettera inviata oggi ( ieri per chi legge, ndr) allo stesso presidente del Consiglio dei Ministri.

A che misure pensa?

Riguardo al processo amministrativo, potrebbe essere utile un chiarimento che ricomprenda nella sospensione tutti i termini, anche quelli endoprocessuali. Così come credo che le cause fino a una certa data, ragionevolmente fino al 31 maggio, andrebbero o introitate per la decisione sulla base dei soli scritti difensivi, o, se si preferisce, rinviate d’ufficio.

Sono misure radicali, ma che forse tutti giudicheranno necessarie.

Credo ci si trovi dinanzi a un bivio. Potremmo pensare di mandare avanti quanti più processi è possibile, con udienze aperte, in videoconferenza, anche agli avvocati. Ma il dissenso degli amministrativisti sull’esclusione degli atti endoprocessuali dal regime della sospensione si richiama anche a difficoltà operative degli studi legali. Per esempio, al problema di non poter disporre del personale necessario persino per il deposito telematico del ricorso. In condizioni simili mi pare poco ragionevole pensare che gli stessi studi, in difficoltà con i depositi, possano organizzarsi per le videoconferenze. Ecco perché proponevo la decisione delle cause senza discussione orale. Va chiarito, per inciso, che la difficoltà riguarda anche gli uffici della giustizia amministrativa: non è semplice reperire i tecnici informatici. Proprio l’insieme di tali elementi suggerisce a mio giudizio un’ultima e ulteriore possibile misura: prevedere per l’azione cautelare, che va, ovviamente, preservata, la definizione monocratica anziché collegiale. Gli stessi collegi dovrebbero riunirsi in videoconferenza; se vogliamo evitare che l’emergenza paralizzi il cautelare, la forma monocratica è la sola realisticamente praticabile, come, peraltro, già previsto dal decreto legge fino al 22 marzo.

Vuol dire che la giustizia amministrativa dovrebbe comunque accettare un rallentamento?

Non dico questo. Se però l’alternativa è la sospensione dei termini anche endoprocessuali, le cause dovranno essere inevitabilmente rinviate a dopo ottobre: il ruolo è già pieno, non possiamo cumularle con quelle fissate per i prossimi mesi.

Basta emendare il ddl di conversione del decreto Tribunali?

Credo di no. Potrebbe derivarne un quadro paurosamente complicato per l’intervallo fra l’emanazione del decreto e la sua conversione. È preferibile un nuovo decreto. Sia chiaro: finché non finisce l’emergenza coronavirus dovremo limitare i processi, cautelari e non, all’indispensabile. E augurarci che tutto finisca presto. Riguardo ai cautelari monocratici, si può introdurre l’obbligo, per il giudice, di sentire le parti. Oggi è una facoltà. Se non fosse introdotto per legge, non mi risparmierei dall’invitare i colleghi a farlo.

Visti i tempi strettissimi, crede sia utile consultare il Cnf e tutte le rappresentanze forensi, per scrivere materialmente le norme?

Io li ho consultati, per le valutazioni di mia competenza; per un decreto legge, sarà la presidenza del Consiglio a decidere.

Un’ultima cosa: all’inaugurazione dell’anno giudiziario presso il Consiglio di Stato, il presidente del Cnf Mascherin ha rivolto un appello per un potere pubblico più trasparente, capace di semplificare il sistema: questi giorni difficili aiuteranno, almeno, a muovere in quella direzione?

Ricordo bene quel particolare passaggio nell’intervento del presidente Mascherin. Il sistema è articolato in tanti piccoli mondi. Se ciascun settore riesce a semplificare, poi quel metodo sarà acquisito dall’intero sistema. Il segreto è sempre parlarsi, e direi anche capirsi. Nell’immediato, vedremo quali saranno le scelte del governo. Poi in ogni caso, nella dialettica sana con il Foro, mi auguro che troveremo le soluzioni più appropriate.