Dopo giorni duri e difficili, si avviano alla conclusione le rivolte nelle carceri italiane. Proteste, durissime, dei detenuti che - come l’epidemia attuale – hanno contagiato diversi istituti penitenziari. Inoltre continua, come se fosse un bollettino di guerra, ad aumentare la tragica conta dei detenuti morti. Dopo la dura protesta del carcere di Modena, sono nove i detenuti ritrovati privi di vita. Ma si aggiungono altri decessi avvenuti in altre carceri. A Rieti, dopo la sommossa, sono tre i detenuti rinvenuti morti, più altri due sono stati portati urgentemente in ospedale e sono tuttora in coma. Il motivo dei decessi, anche in questo caso, sarebbe da addebitare all’overdose di metadone razziato nell’infermeria. A darne la triste notizia è Gennarino De Fazio, rappresentante del sindacato nazionale della polizia penitenziaria Uilpa. De Fazio, visibilmente scosso dall’ulteriore notizia drammatica spiega: «Sono settimane che chiediamo una task force sulle carceri al ministro della Giustizia, ma lui l’ha annunciata solo ieri sera, minimizzando ancora il fallimento della conduzione del suo dicastero e delle carceri. Adesso non è più tempo di task force, soprattutto se coordinate da chi ha palesato incapacità e incompetenze specifiche. I disordini e le rivolte, vanno avanti ovunque: Bologna, Isernia, Siracusa, Larino, solo per citare alcune carceri; mentre si continuano a contare i morti rispetto ai quali, se non ci sono responsabilità penali, non possono sfuggire quelle morali e politiche». Il leader della Uilpa conclude: «Ripeto l’appello, nella speranza che qualcuno lo raccolga prima che sia troppo tardi: la presidenza del Consiglio dei ministri assuma direttamente, pro- tempore, la gestione delle carceri. Capiamo il momento, comprendiamo l’emergenza generale del Paese, ma non giustifichiamo affatto l’assenza anche del Presidente Conte su questo tema che pure ieri sera, in conferenza stampa, non ha speso una parola sulle carceri. Ora anche il Presidente deve dare un segnale, che batta un colpo!».

Nella giornata di ieri sono stati almeno otto gli istituti penitenziari che hanno scatenato nuovamente la sommossa. Carceri che si aggiungono agli altri 24 penitenziari che hanno coinvolto la penisola nelle giornate scorse. C’è quello di Cavadonna, a Siracusa, dove lunedì notte circa settanta detenuti hanno dato alle fiamme le lenzuola e danneggiato diversi arredi. Carabinieri, poliziotti e militari della Guardia di Finanza sono arrivati all’esterno della casa circondariale temendo che la situazione potesse ulteriormente degenerare. La protesta è rientrata anche grazie agli agenti della polizia penitenziaria che sono riusciti a calmare gli animi.

Nella mattinata di lunedì, è scoppiata una sommossa anche a Campobasso. Una colonna di fumo nero si notava anche in periferia, guardando verso il centro città, dov’è posizionata la casa di reclusione. Immediato l’intervento dei Vigili del Fuoco che hanno provveduto allo spegnimento delle fiamme. Da lì l’attesa delle forze dell’ordine fuori ai cancelli a presidiare via Cavour, completamente chiusa al traffico dall’intersezione con via Gazzani. Il motivo della rivolta non riguardava solamente le restrizioni dovute al coronavirus, ma anche il paventato trasferimento nel carcere del capoluogo molisano di numerosi detenuti da quello di Modena.

Resta poi quello di Bologna che ha il primato per aver inscenato una durissima protesta per più di un giorno. Momenti concitati, gli agenti in affanno e tentativi di trattativa da parte di numerosi soggetti istituzionali. Ma nulla. I detenuti della sezione giudiziaria si sono asserragliati, provocato incendi e hanno tentato inizialmente anche di forzare l’ingresso. Attimi di tensione, tanto da ipotizzare una irruzione. Alla fine, dopo una lunga e faticosa mediazione tra agli agenti penitenziari e i detenuti, ma soprattutto grazie al dialogo intrapreso dalla presidente del tribunale di sorveglianza Antonietta Fiorillo, la protesta è rientrata. Dure e gravi proteste al carcere di Trapani, poi Caltanissetta, Enna, Larino, Pescara e Avellino. Fino all’evasione a Foggia, con 19 ancora ricercati.

Quello che sta emergendo è anche il montare della rabbia da parte degli agenti penitenziari che hanno dovuto sedare le rivolte. «Quello che sto facendo – parla un agente che preferisce l’anonimato – non è per lo Stato, ma per i miei colleghi. Bisogna cambiare registro. Siamo noi che abbiamo liberato le carceri, non quelli del governo che non si sono fatti sentire, nemmeno un comunicato». Una rabbia, la sua, che trova riscontro in numerosi comunicati di varie sigle sindacali. Un problema che inevitabilmente sta comportando una radicalizzazione delle posizioni. C’è, infatti, chi - come il leader della Lega Matteo Salvini - chiede pieni poteri e che ci sia una dura punizione azzerando tutti benefici. Rivolte che, purtroppo, man mano che passa il tempo, stanno distanziando ancora il carcere dalla società libera. «Ho un mio caro che è in carcere – spiega a Il Dubbio una familiare di un recluso a Poggioreale – e devo dire che queste rivolte sono sbagliate, perché non servono a nulla e lo Stato, si sa, ha già un odio represso nei confronti dei carcerati. Noi stiamo cercando di entrare in sorveglianza, abbiamo mandato delle pec alla magistratura proprio per vedere se riusciamo ad organizzare un tavolo tecnico con persone che comunque hanno un potere di poter predisporre misure alternative per chi ne ha la possibilità». Però lei stessa dice con grande amarezza: «Purtroppo queste proteste generano paura e i magistrati di sorveglianza stessi rischiano di chiudersi a riccio».

Ed è proprio il discorso delle misure alternative, la possibile soluzione per alleggerire le carceri sovraffollate dove se si dovesse scatenare un contagio, sarebbe difficilissimo – soprattutto in alcune – mettere in pratica l’isolamento sanitario disposto dalle direttive governative. Ma per fare tutto ciò ci vuole, appunto, la volontà della magistratura di sorveglianza che, magari sotto l’indicazione del governo, metta in atto misure temporanee come i domiciliari. Il garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma che ha, come preannunciato allo speciale del Tg3, svolto un incontro tecnico con i vari rappresentati della magistratura di sorveglianza proprio per verificare la possibilità di mettere in atto tali misure temporanee. Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti e presidente della conferenza Nazionale Volontariato giustizia, spiega che ci sono in carcere persone con un residuo di pena minimo: 8682 detenute con meno di un anno e 8146 da uno a due anni. «Sono persone – sottolinea la Favero - che non devono intasare le carceri e rendere ancora più difficile affrontare l’emergenza sovraffollamento e quella coronavirus».

Eppure qualcosa si muove. Giovanna Di Rosa, presidente del tribunale di sorveglianza di Milano, ha annunciato l’utilizzo delle misure alternative per ovviare al sovraffollamento. In particolare ha avviato intese con il Sert per potenziare gli affidamenti terapeutici. Mentre il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede annuncia l’arrivo di 100 mila mascherine per i penitenziari italiani. «L’approvvigionamento di presidi sanitari sarà utile per la più rapida ripresa dei colloqui dei detenuti con i propri familiari», sottolinea il guardasigilli. Importanti notizie che potrebbero aprire uno spiraglio di luce in queste giornate difficili e buie che investono l’intero sistema penitenziario.