I testo del decreto legge 11/2020 sta facendo impazzire gli avvocati, già provati dalle misure a macchia di leopardo rispetto alla sospensione delle udienze. A creare difficoltà interpretative è l'articolo 1 del decreto e in particolare il coordinamento tra il primo e il secondo comma, in merito alla sospensione dei termini. Il primo comma recita: "A decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto (dunque il 9 marzo ndr) e sino al 22 marzo 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari, con le eccezioni indicate dall'articolo 2 comma 2 lettera g, sono rinviate d'ufficio a data successiva al 22 marzo 2020". La previsione sarebbe chiara, anche se in molti tribunali ancora oggi alcune udienze continuano ad essere celebrate: è l'esempio della sezione I del tribunale di Roma, dove si legge un avviso secondo cui, su disposizione del presidente della Sezione I civile, verranno trattate le cause in fase presidenziale aventi ad oggetto: separazione giudiziali, divorzi giudiziali contenziosi, minori (affidamento e mantenimento). Il problema sorge con il comma 2, che riguarda la sospensione dei termini. Si legge: "A decorrere dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 22 maezo 2020 sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei provvedimenti indicati al comma 1, ferme le eccezioni richiamate. Over il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine di detto periodo". Una lettura letterale della norma, infatti, è che gli unici termini sospesi dal decreto siano quelli che riguardano procedimenti con udienze fissate tra il 9 marzo e il 22 marzo. Ovvero, un numero risibile di procedimenti, rispetto ai tanti termini che scadrebbero nell'arco di queste due settimane. Per esempio, qualora un avvocato dovesse depositare un ricorso per Cassazione con termini che scadono l'11 marzo, quei termini non sono interrotti perchè non è fissata alcuna udienza tra il 9 e il 22 marzo. Dunque, il mancato deposito del ricorso farebbe incorrere in decadenza. In sintesi, dunque, sono sospesi solo i termini per i procedimenti con udienza fissata tra il 9 e il 22 marzo. Certo, in molti si interrogano se sia possibile dare una lettura estensiva della norma, ma in mancanza di una interpretazione autentica chi mai correrebbe il rischio di incorrere in decadenze? Ulteriore problema che il testo del decreto legge non risolve riguarda i cosiddetti termini a ritroso. Ovvero, il computo dei termini per le costituzioni, che si contano "a ritroso" da una data fissata. In questo caso, che effetto dovrebbe produrre la sospensione dei termini di due settimane? Una stretta interpretazione potrebbe comportare che, dovendo "saltare" nel calcolo le due settimane di sospensione fissate dal decreto, si arriverebbe ad essere già decaduti. Per esempio, nel caso del deposito di una lista testi in un procedimento penale la norma prevede che tale lista vada depositata, a pena di inammissibilità, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento. Con una udienza fissata il 16 marzo il deposito sarebbe dovuto avvenire il 9 marzo, ma con la sosmpensione dei termini, la presentazione della lista dovrebbe "slittare" addirittura a prima che il decreto legge venisse emesso, il 2 marzo. Il buon senso suggerisce che questa lettura sia da considerarsi implausibile, ma il fatto che il decreto legge tralasci di normare anche questo tipo di ipotesi contribuisce a creare ulteriori dubbi e confusione tra gli operatori del diritto.