La Chinatown pratese non si è fatta intimorire al Coronavirus. Anzi, si è organizzata, rimanendo fedele a quel luogo comune che vuole gli orientali iper organizzati ed efficienti. E così, in una palazzina di via Pistoiese, a Prato, la comunità cinese ha deciso di fronteggiare il virus dandosi regole ben precise, senza rinunciare alla solidarietà: autoisolamento e spesa a turno per tutto il palazzo. A raccontarlo è Il Tirreno, che spiega la storia di una comunità che fino a poco tempo fa era tenuta sotto controllo dallAsl Toscana Centro: a fine gennaio erano 2500 i cinesi rientrati a Prato dopo il Capodanno in Cina. Così erano scattate le misure di sicurezza, temendo un contagio di massa. Invece a presentare i sintomi, nella cittadina toscana, sono state solo due persone, venute in contatto con i focolai italiani. «Gli immigrati hanno una condizione di partenza più vantaggiosa della nostra sotto il profilo della salute ricorda al Tirreno Renzo Berti, responsabile del dipartimento prevenzione dellAsl Toscana Centro - Sono più giovani, tendenzialmente più sani e quindi meno esposti allattacco del virus. Per quanto riguarda la comunità cinese di Prato, inoltre, è composta da persone provenienti dallo Zhejiang dove si è registrato solo un decesso a fronte di 1.205 casi accertati». Ma non solo: i cinesi rientrati a Prato avevano fatto la quarantena in Cina, grazie alle misure rigorose adottate dal governo dello Zhejiang.Ma nonostante ciò, la comunità cinese di Prato ha voluto essere ancora più prudente. Così ha fatto scorta di cibo, optando per unulteriore quarantena anche in Italia. E dopo la quarantena, è stata la volta dellautoisolamento volontario, per evitare di entrare in contatto con i casi italiani. In questa situazione, però, ciò che non è mancata è stata la collaborazione: a turno, un membro della famiglia va a fare la spesa per le altre persone in isolamento. A ciò si associa una cura maniacale per ligiene. Scarpe e vestiti, al rientro, rimangono fuori casa, i contatti con il mondo esterno sono risicati e sostituiti con le videochiamate, si prega con guanti e mascherine, mentre ristoranti, bar e attività sono rimasti chiusi. Prima del 4 marzo, erano 364 i nuclei familiari in autoquarantena, per un totale di 1300 persone. Ma il numero aumenta e in molti stanno perfino pensando di rientrare in Cina, dove la situazione è ormai sotto controllo.