«La sfida della giustizia è quella di ridurre i tempi dei processi senza ridurre le garanzie», ripete più volte Giulia Bongiorno. Avvocato, senatrice della Repubblica in quota Lega ed ex ministro della Pubblica Amministrazione, è la voce più autorevole in casa leghista in materia di giustizia e fotografa clinicamente lo stato dell’attuale gestione della macchina di Via Arenula, dal decreto Intercettazioni fino alla confusione nel gestire l’emergenza coronavirus.

Il decreto Intercettazioni estende a nuove fattispecie l’uso di questo strumento e in particolare dei Trojan. Anche questo riduce le garanzie per il cittadino?

Sì, nella misura in cui questo decreto genererà una enorme quantità di errori giudiziari. Mi riferisco in particolare alla norma che prevede la possibilità di utilizzare le intercettazioni anche per reati diversi da quelli per i quali era stato emesso il decreto di autorizzazione. Questa previsione unitamente all’allargamento dell’uso del Trojan crea un intreccio che può risultare fatale per la corretta formazione della prova perché inevitabilmente le intercettazioni verranno usate in modo ancora più massiccio, mentre si ridurrà ancora di più il ricorso alle indagini tradizionali, che sono decisamente più faticose.

Perché questo potrebbe indurre maggiori errori giudiziari?

Perché a volte ci si accontenta delle intercettazioni per ritenere raggiunta una prova ma spesso le parole sono suscettibili di molteplici interpretazioni. È altrettanto vero che le conversazioni intercettate sono fatte di parole avulse da uno specifico contesto. In altri termini, l’intercettazione non dovrebbe essere letta analizzandone solo il significato letterale, ma servirebbe conoscere quanto si erano detti i due interlocutori, magari di persona, mezz’ora prima di essere intercettati, i toni e l’intonazione del dialogo ascoltato. Senza questo secondo livello di comprensione, anche la Bibbia potrebbe passare per un libro pornografico. Ecco perché dico che la prova raggiunta mediante intercettazioni è più soggetta a causare errori giudiziari.

Considera eccessivo l’ampliamento nell’uso previsto dal decreto?

Io vedo un rischio particolare: che l’ampliamento ingiustificato nell’uso dei Trojan, coniugato con la previsione che ne consente l’uso in altri procedimenti senza la necessità di alcun collegamento con quello principale, apra alla tecnica della cosiddetta “pesca a strascico”, ovvero che si utilizzino le intercettazioni disposte per un reato come notitia criminis di un altro. Per altro, questa specifica previsione contenuta nel decreto è in netto contrasto con la sentenza di Cassazione a Sezioni Unite Cavallo, dunque cozza anche con l’indicazione dei magistrati in materia di intercettazioni.

Qualcuno potrebbe obiettarle che, da avvocato, è normale che lei sia contraria alle intercettazioni.

Invece la mia storia politica parla per me. Da presidente della commissione Giustizia, mi sono battuta a favore delle intercettazioni quando l’allora premier Silvio Berlusconi voleva eliminarle del tutto per i reati contro la Pubblica amministrazione. Allora come adesso ho a cuore l’interesse collettivo e ritengo che non si possano spuntare le unghie agli investigatori, ma servono dei limiti all’uso eccessivo.

E quali dovrebbero essere?

Serviva una legge che garantisse la riduzione di un uso eccessivo delle intercettazioni e tutelasse la riservatezza dei cittadini. Questi dovevano essere i due obiettivi di fondo, entrambi disattesi. Con questo potere sconfinato di intercettare il pericolo è che, seppur in buona fede, gli investigatori tenderanno ad adagiarsi sulle intercettazioni invece di usare altri strumenti investigativi. Molti processi sono già ora fatti da intercettazioni e magari si concludono con assoluzioni perché dopo anni si scopre che era stata data una interpretazione errata. I procedimenti, la ricerca dei riscontri, le investigazioni tradizionali sono sempre meno usati.

La difesa in che modo potrebbe intervenire?

Questo è un altro dei problemi. Considero gravissimo che la selezione delle intercettazioni rilevanti sia demandata alla pubblica accusa. Io ho vinto processi perché sono riuscita a individuare intercettazioni rilevanti per la difesa. Gli avvocati saranno costretti in tempi limitati e prestabiliti a dover ascoltare, senza possibilità di estrarne copia, negli archivi della Procura, in assenza di precise indicazioni su come orientarsi, centinaia di ore di nastri per individuare eventuali conversazioni utili alla linea difensiva che altrimenti verrebbero irrimediabilmente perse. Anche gli aggettivi utilizzati nel provvedimento susciteranno molta incertezza nell’applicazione delle norme, mentre la giustizia richiede chiarezza e certezze. Gli avvocati sono lasciati in una situazione di assoluta debolezza rispetto al magistrato inquirente, a cui è lasciato un enorme potere discrezionale.

I Trojan e le intercettazioni, tuttavia, erano presenti anche nella legge Spazzacorrotti, durante il governo gialloverde.

All’epoca ho chiesto io espressamente a Bonafede di regolare in modo restrittivo i Trojan, ma si continuava a rinviare il tema. Questo ultimo provvedimento addirittura amplia ancora di più ciò che invece avrebbe dovuto essere disciplinato con rigore. Non è un mistero che una delle ragioni per le quali l’esperienza del Conte 1 si è interrotta è anche la differenza di vedute sulla giustizia.

Si riferisce in particolare alla prescrizione?

Anche. Nella prima versione della legge Spazzacorrotti era previsto il blocco immediato della prescrizione. La Lega si è opposta, sapevamo che sarebbe stata una bomba atomica per i processi, visto che oggi la prescrizione è pungolo per la loro fissazione e con il blocco ci sarebbe la paralisi. Su mia esplicita richiesta, era stato previsto che il blocco non sarebbe entrato in vigore prima di una riforma in grado di ridurre i tempi dei processi penali. Quando Bonafede si è presentato in Consiglio dei Ministri con una riforma del tutto incapace di correggere il sistema processuale penale senza togliere garanzie ai cittadini, la Lega ha detto no e questa è stata una delle ragioni della rottura di quella alleanza politica.

Oggi, invece, sono in vigore sia il blocco della prescrizione che l’utilizzo esteso dei Trojan.

Per questo sono molto preoccupata: il risultato è che la vita del cittadino può essere ostaggio della giustizia. La Lega si è sempre schierata in favore del garantismo coniugato alla certezza della pena e qui siamo esattamente nell’emisfero opposto.

Il decreto che riforma il processo penale presentato da Bonafede al nuovo governo prevede di accelerare i tempi attraverso l’incentivo alla scelta di riti alternativi. È un compromesso accettabile?

Bonafede aveva addirittura proposto alla Lega di introdurre il patteggiamento per reati fino a 10 anni di pena e noi rispondemmo di no. Ritengo che non si possa pensare a riti premiali per chi commette reati gravi. Offrire scorciatoie con sconti di pena per decongestionare il sistema è troppo facile: la scommessa è di far funzionare bene il processo attuale.

Ed è possibile?

È possibile se si mettono a disposizione risorse economiche, organizzative e di organico in magistratura. Non a caso io, da ministro alla Pubblica Amministrazione, ho allocato riscorse per favorire nuovi ingressi proprio nel settore giustizia. Per far funzionare l’attuale processo potrebbero servire anche figure come i manager dei tribunali, un migliore funzionamento del processo telematico, una iniezione di forza lavoro negli organici. Bonafede, invece, ragiona al contrario: esiste un problema di carceri? Basta svuotarle. Esiste un problema nei processi penali? Si svuotano anche questi.

Cosa sta sbagliando il ministro?

Le priorità. È troppo facile pensare di ridurre i tempi dei processi con i riti alternativi o eliminando le garanzie. Spero che Bonafede abbia presto un’illuminazione e capisca che il primo punto all’ordine del giorno deve essere una migliore organizzazione del lavoro negli uffici, non pasticciare ancora il processo ordinario.

A proposito di organizzazione, come sta vivendo da avvocato l’emergenza coronavirus?

Lunedì ho un’udienza a Padova, che sarebbe una zona a rischio ma l’udienza si dovrebbe tenere, e al contempo in zone diverse dove sembra sia tutto sospeso. Non sbaglia né il tribunale di Padova né quello che rinvia le udienze, ma è evidente che si è creato un vuoto, proprio nel momento in cui servivano chiarezza e certezza.

Come ha gestito il ministro Bonafede questa fase di emergenza?

Non è il momento di creare polemiche, ma onestamente non comprendo perché su scuole e stadi si è presa una decisione uniforme su tutto il territorio nazionale, mentre per quanto riguarda le attività nei Tribunali sino ad oggi il Ministro non ha assunto alcuna decisione, mentre ora si è soltanto limitato a delegare ai singoli Capi degli Uffici Giudiziari di adottare proprie linee guida. Ritengo che un Ministro, soprattutto in fasi delicate come queste, abbia il dovere di indicare la rotta da seguire e il coraggio di operare scelte che valgano per tutti, senza delegarle ad altri.