C’è una figura che non può essere messa in secondo piano, dietro la delicatissima opera di ingegneria normativa compiuta ieri notte dal governo con il decreto Tribunali: l’avvocato, inteso come figura di sistema. Nello specifico rappresentato dalla sua massima istituzione, il Consiglio nazionale forense, e dal presidente del Cnf stesso, Andrea Mascherin.

Le “prescrizioni modulabili”

Non  si comprende l’esito descritto ieri a tarda notte dal ministro Alfonso Bonafede se non si ripercorre anche l’incredibile, paziente lavoro di tessitura politica, e di contributo tecnico-normativo, offerto dall’avvocatura. Il decreto proposto dal guardasigilli e varato poche ore fa dal  Consiglio dei ministri prevede la sospensione feriale – del tutto analogia a quella prevista per il mese di agosto – dei termini, e l’introduzione di un regime “modulabile”, come definito proprio da Mascherin, a partire dal 23 marzo, quando cioè il cuscinetto dei 15 giorni sarà concluso. Regime modulabile vuol dire che, a calibrare eventuali e già codificati gradi di restrizione dell’attività giudiziaria per contrastate l’emergenza coronavirus, saranno i capi degli uffici giudiziari. Dalla “semplice” chiusura al pubblico di tribunali e cancellerie al rinvio, con  conseguente sospensione dei termini, di tutte le udienze non urgenti. Vuol dire però che il dirigente di ciascun ufficio giudiziario lo farà anche «sentito il Consiglio dell’Ordine degli avvocati», oltre che l’Azienda sanitaria regionale.

La mediazione politica di ministro e Cnf

Ebbene, tutto tale sofisticato impianto normativo, concepito per arginare l’epidemia, è anche un delicatissimo atto di mediazione politica. Fra l’Anm intimorita da un simile peso di responsabilità affidato a presidenti di Tribunale e procuratori capo, da una parte; e, dall’altra, quella parte dell’avvocatura che, come nel caso dell’Ocf, aveva scelto la via dell’astensione, iniziata venerdì, in virtù del timore che il permanere dell’attività ordinaria nei palazzi di giustizia avrebbe esposto soprattutto i difensori a rischi enormi. Tale paziente lavoro di cesello politico-normativo è avvenuto appunto con il costante confronto fra via Arenula e Cnf: «Devo ringraziare gli avvocati e in particolare il Consiglio nazionale forense», ha detto stanotte il guardasigilli. Una ricerca dell’equilibrio iniziata con l’approvazione delle linee guida da parte di Bonafede e Mascherin, poi tradotte, come dichiarato apertamente dal ministro, nella parte cruciale del decreto Tribunali.

Mascherin rivendica il lavoro del Cnf

Di tale fiducia, di tale lavoro comune, il presidente del Cnf ha ringraziato, con una nota diffusa stamattina, il minstro della Giustizia: «Il Consiglio dei ministri ha individuato prescrizioni modulabili territorio per territorio con il coinvolgimento di Ordini degli avvocati e autorità sanitarie, ispirate al modello delle linee guida messe a punto da ministero della Giustizia e Cnf, anche esse richiamate ieri dal Guardasigilli», si legge nel comunicato di Mascherin.

L’iniziale no dell’Anm

Certo, ai capi degli uffici giudiziari è assegnata comunque una grande responsabilità. Il governo, Bonafede in testa, prova a respingere l’assalto del coronavirus nei tribunali senza fermare di un colpo, e in tutto il Paese, la giustizia. E lo fa appunto con un provvedimento che attribuisce la decisione, caso per caso, a presidenti dei Tribunali e procuratori «sentiti l’Asl e il Consiglio dell’Ordine degli avvocati». Una scelta difficile, impegnativa, discussa fino all’ultimo, ieri sera, in un Consiglio dei ministri. Una scelta che inizialmente trova il no dell’Anm: una «disciplina dell’emergenza lasciata ai capi dei singoli uffici» è «inadeguata» a prevenire la «diffusione del contagio», secondo il “sindacato delle toghe” prima ancora che inizi a circolare una prima bozza del decreto. No ad «applicazioni differenziate», visto che i tribunali sono «quotidianamente frequentati da una moltitudine di persone provenienti da diverse parti del territorio nazionale».

Il temuto corto circuito giudici-Ocf

C’era insomma un no, da parte della magistratura associata, sull’idea di attribuire proprio ai giudici una responsabilità eccessiva nella prevenzione del Covid-19. E c’era forse anche il timore di un corto circuito con l’avvocatura, considerato che l’Ocf aveva proclamato un’astensione, non riconosciuta dai vertici di alcune Corti d’appello ma potenzialmente insidiosa proprio per i magistrati. Perché, qualora qualche giudice avesse negato il legittimo impedimento di un avvocato astenuto e poi magari in quell’ufficio si fossero verificati contagi proprio tra i difensori, è chiaro che le conseguenze per quel giudice sarebbero divenute pesanti. Ma proprio un simile dettaglio, nascosto e troppo sottile solo per chi non abbia osservato il progredire della tensione fin dalle prime scintille, è superato ora dalla scelta di sostenere tutto – secondo il modello feriale agostano, appunto – per due settimane, cioè persino oltre la data, il 20 marzo, in cui si sarebbe altrimenti conclusa l’astensione dalle udienze non urgenti proclamata dall’Ocf, un’astensione ormai superata dal decreto.

Il tentativo di dare continuità alla Giustizia

Grazie proprio alla scelta di introdurre prima uno stop di due settimane, e passare poi al “regime modulare” della giustizia al tempo del Covid, la pista di atterraggio del decreto Tribunali diventa molto, ma molto meno scivolosa. Certo è che si tratta dello sforzo, dichiarato fin dalle premesse del testo, di «contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid- 19» ma di «garantire, per quanto possibile, continuità ed efficienza del servizio giustizia». Perciò dal 23 marzo in poi dovranno essere i capi degli uffici, secondo il guardasigilli, a ordinare la misura più estrema, ossia il rinvio di tutte le udienze non urgenti a dopo il 31 maggio, solo quando risultino insufficienti le altre graduali restrizioni pure previste dal provvedimento per limitare l’afflusso, e «consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie», così come definite dai provvedimenti degli ultimi giorni.

 «Si decida con gli Ordini forensi»

Ecco lo sforzo: una complicatissima e dettagliata modularità delle decisioni. Una responsabilità però che non dovrebbe vedere soli i magistrati. Perché il decreto stabilisce che i dirigenti degli uffici decidano «sentito il Consiglio degli Ordine degli avvocati», oltre che l’Autorità sanitaria regionale. Ovvero: deve esserci una assunzione di responsabilità almeno in parte condivisa, fra magistrati e avvocati. Ed è chiaro che se il presidente di un Coa manifestasse al presidente di un certo Tribunale o al capo di una certa Procura la sua assoluta e radicale contrarietà a proseguire le attività giurisdizionali – sempre eccezion fatta per quelle urgenti – sarebbe assai difficile, viste anche le tensioni sull’astensione e il «contagio ormai virale» evocato ieri anche dall’Anm, che quel presidente di Tribunale insista nell’andare avanti.

Tradotte in legge le linee guida ministero-Cnf

La proposta di via Arenula ha avuto anche l’ambizione di recepire i criteri delle linee guida approvate, esattamente una settimana prima, nel protocollo fra lo stesso ministro della Giustizia e il presidente del Cnf Andrea Mascherin. Vuol dire che le precauzioni devono consentire innanzitutto di evitare «assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone». È l’obiettivo indicato più volte dall’avvocatura, e che giovedì ha ispirato anche l’istituzione del tavolo tecnico avvocati-magistrati a Napoli, proprio con l’obiettivo di calibrare insieme i necessari presupposti della eventuale “rarefazione” nei palazzi di giustizia. Un grande riconoscimento dunque proprio al ruolo della professione forense.

I timori (in parte superati) dell’Unione Camere penali…

Ma anche una prova di tenuta che suscita più di una preoccupazione non solo nella citata Anm (che annulla persino la riunione del proprio direttivo fissata per oggi), ma anche in numerose rappresentanze forensi. Se infatti l’Ocf aveva proclamato l’astensione iniziata ieri, e ritenuta illegittima dai capi di alcuni distretti (come riferito in altro servizio, ndr), vanno citate come minimo le perplessità avanzate ancora dall’Unione Camere penali e dagli avvocati tributaristi. Nel primo caso, la giunta presieduta da Gian Domenico Caiazza aveva fatto ricorso a due “alert”. Prima una lettera rivolta proprio al ministro Bonafede in cui gli viene chiesto, «se si è deciso di chiudere le scuole», perché non siano state chiuse allora «salvo i processi urgenti e indifferibili» anche «i tribunali». Era ancora «meno comprensibile», per i penalisti, «l’idea di rimettere ogni decisione ai responsabili degli uffici giudiziari, senza vincolarli a parametri univoci e categorici, regolati dagli unici criteri rilevanti, cioè quelli della scienza medica». Certo, nella proposta di Bonafede, i capi degli uffici devono sentire, oltre ai Coa, le Asl. Però per l’Ucpi «regole di comportamento inspiegabilmente diverse adottate in relazione a situazioni equivalenti» finirebbero per creare «sconcerto, rabbia, smarrimento». Poi, quando la prima bozza del “Dl Tribunali” inizia a circolare, l’Unione Camere penali diffonde una seconda nota, con un monito ancora più deciso: «È inconcepibile che non sia la legge a definire i criteri di urgenza per la eccezionale celebrazione dei processi, ma che essi siano delegati, senza alcuna predeterminazione normativa, alla magistratura, e addirittura a quella inquirente», si scandisce.

… “evocata” da Bonafede in conferenza stampa…

Obiezioni che sembrano aver trovato almeno in parte ascolto e recepimento nel decreto. Perché la sospensione feriale introdotta fino al 23 marzo, e non prevista da Bonafede nella sua prima bozza, sembra accogliere proprio quell’istanza di assimilazione al regime scolastico avanzata dai penalisti. Non a caso il guardasigilli, sempre nella conferenza stamopa di ieri, non mancherà di ricordare proprio «la lettera pubblica inviatami dall’Unione Camere penali».

…e quelli dell’Unione avvocati tributaristi

Allo stesso modo sembra trovare accoglimento la questione posta dall’Unione nazionale degli avvocati tributaristi, secondo i quali la «giustizia tributaria» era «l’unica tra le giurisdizioni non contemplata da alcun provvedimento d’urgenza». Secondo l’Uncat si dovrebbe, ad esempio, dare «attuazione al processo tributario a distanza». Ed è forse, ancora una volta anche grazie alla puntuale e responsabile controdeduzione dell’avvocatura se, cone rivendica il comunicato di Palazzo Chigi, nel decreto Tribunali «sono previste» anche «specifiche norme per i procedimenti dinanzi alla Corte dei conti e per quelli dinanzi alle commissioni tributarie». Ancora, il presidente dell’Anf Luigi Pansini, in una dichiarazione inviata a questo giornale, aveva definito necessarie «chiare, precise e omogenee linee di condotta per tutti gli uffici».

I dettagli del decreto Tribunali

Nel dettaglio, il decreto portato a Palazzo Chigi dal guardasigilli prevede misure anche estreme, come la generalizzazione, nelle udienze con detenuti, della loro partecipazione a distanza, a prescindere del diverso grado di restrizione dell’attività decisa dal presidente del Tribunale. I capi, a loro volta, si consultano sempre con procuratore generale e presidente della sua Corte d’appello. E, sentiti Azienda sanitaria e Coa, «adottano» le «misure» per evitare innanzitutto gli «assembramenti». E qui si va dalla chiusura dell’accesso al pubblico all’adozione «di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze», quindi alla riduzione del ruolo, proprio come previsto dalle linee guida ministero-Cnf, di fatto tradotte in legge dello Stato. Possibile la sospensione fino al 31 maggioSi può arrivare a «udienze civili» in «collegamento da remoto con ogni mezzo di comunicazione», dunque anche con videochiamate whatsapp. Fino alla drammatica lettera g), dell’articolo 1 secondo comma del Dl Tribunali, che prevede il rinvio di tutte le udienze a dopo il 31 maggio 2020, con le eccezioni per le «urgenti» così come definite già nel decreto 9, quello sulla “zona rossa”. Si tratta non solo dei processi con detenuti ma anche delle cause per gli «alimenti», dei «cautelari» relativi ai «diritti della persona», dei procedimenti per interdizione, Tso, espulsione di migranti clandestini. Ovviamente, per tutte le cause rinviate, si sospendono anche i termini, prescrizioni comprese, sia nel civile che nel penale. Si vedrà. Certo è che mai la giustizia italiana ha tentato, in modo persino “titanico”, di restare in equilibrio su un filo cosi sottile.