È giunto in libreria un volume di 3500 pagine per ricordarci, con la sua mole e la sua completezza, che Ercole Patti è un classico. Narratore, giurista, commediografo, critico cinematografico, sceneggiatore, giornalista, questo scrittore nato a Catania nel 1903 e morto a Roma nel 1976 ha saputo mantenere la freschezza dell’ispirazione e dello stile per tutto il corso della sua lunga carriera. Il suo successo letterario ha inizio con la raccolta di elzeviri Quartieri alti e non si ferma più grazie a romanzi come Giovannino, Un amore a Roma, La cugina, Un bellissimo novembre.

Abbiamo intervistato la studiosa e critica Sarah Zappulla Muscarà, ordinario di Letteratura Italiana all’Università di Catania, e l’avvocato, critico letterario e Presidente dell’Istituto di Storia dello Spettacolo Siciliano Enzo Zappulla, curatori di quest’opera omnia di Ercole Patti, pubblicata dalla Nave di Teseo.

Professoressa, Ercole Patti inizia a scrivere giovanissimo. È subito gloria?

La prima novella, Il chiodino, arriva a quindici anni e il Corriere dei Piccoli gli corrisponde un compenso di 25 lire.

Sempre giovanissimo pubblica La storia di Asdrubale che non è mai stato a Bellacittà, per cui percepisce 400 lire. E continuerà così. Patti collabora con una frastagliatissima tessitura di testate, ad esempio con La Stampa di Giulio De Benedetti, col “Corriere della Sera” di Mario Missiroli, Giovanni Spadolini, Alfio Russo e questi quotidiani non solo lo pagano bene, ma a volte lui era nella posizione di chiedere aumenti, perché tenevano alla sua firma.

Oggi sarebbe impensabile…

E in più Patti va in deroga al suo dovere di esclusiva, perché ogni tanto dà un pezzo anche al Messaggero, ragion per cui viene gentilmente richiamato, ma nonostante continui, tutti sopporteranno le sue infedeltà, perché la sua scrittura è così gradevole, accattivante, leggera.

Nel mondo letterario era apprezzato?

Montale sostiene che Patti possiede “l’arte di farsi leggere” e in riferimento alla sua prosa inventa l’espressione “facilità difficile”. Di lui dice: «L'ispirazione spesso sembra morderlo come una tarantola, scuoterlo da un sonno atavico e in quei momenti è impossibile scrivere meglio di lui, con più scaltra misura, con gusto più perfetto».

Perché un’opera omnia?

Avevamo questo desiderio di “consacrarlo classico”. Ci pareva che tutto avesse importanza per dare non solo un affresco di Patti dalla gioventù all’età matura, nei vari generi che ha frequentato, ma anche perché costituisce uno spaccato del Novecento, di cui lui è protagonista, con la sua presenza in tutti i famosi caffè letterari e nei salotti di Catania e di Roma.

Per esempio?

Il Caffè Aragno, il Caffè Greco, Rosati, Canova. Lui frequentava Brancati, De Feo, Flaiano, Cardarelli, Moravia, Pasolini e tutto si trasferisce nella sua opera. Quindi ci pareva importante, dopo un periodo di oblio successivo alla sua scomparsa, restituirlo nella sua totalità, anche con i molti inediti, i carteggi e i testi teatrali e radiofonici.

Sembra che due elementi siano centrali: l’argomento biografico e il tema del viaggio. È così?

Lui comincia come inviato speciale ed è stato in un’infinità di Paesi. Lo caratterizza la volontà di restituire ciò che conosce con un descrittivismo minuzioso, attento ai particolari e alle curiosità. C’è un libro di viaggio, Ragazze di Tokio, che raccoglie sue cronache in India, Cina e Giappone, tre Paesi lontani che richiedevano un mese di viaggio solo tra andata e ritorno.

Ha il gusto del viaggio, anche in località italiane, e un sensualismo che è suo e della sua scrittura.

Perché sottolineate il tema dell’“odore”?

Sarah Zappulla: Lui ha tutti i sensi sviluppatissimi, quindi nella sua narrazione entrano odori, sapori, colori, rumori. Ma certo, quanto all’olfatto, persino la parola “odore” ha un numero di occorrenze straordinario nella sua opera. Per esempio, quando descrive il bacio tra un ragazzino e una ragazzina riporta il sentore come di “saponetta”. Ha una freschezza nelle similitudini e nelle metafore che ti fanno dire «Che strana!», ma anche «Che bella!».

Enzo Zappulla: Ci sono foto di Patti che danno la sensazione di un cane che fiuta la preda. Diceva il suo editore Valentino Bompiani: «Quanto alle idee, le riceve su appuntamento: sa ' prima' tutto quello che scriverà come se lo avesse già scritto; e tutto quello che scriveranno i colleghi, come se lo avesse già letto ».

S. Z: … sempre Bompiani afferma: «Non c’è un grammo in più nella sua prosa”. Ed è la verità, perché la sua scrittura è perfetta, giusta, e nondimeno dotata di straordinaria potenza descrittiva, fatta di metafore, di paragoni, spesso ironici.

Se doveste consigliare a chi non conosca Patti una selezione di sue opere, da dove invitereste a partire?

E. Z: Io direi Diario siciliano… S. Z: … e anche Quartieri alti, però. Il direttore del Corriere della Sera gli diceva: «Mi raccomando, questi elzeviri sullo stile di

Quartieri alti ». Lì, con una pennellata, è capace di darci tutto il quadro. E poi ovviamente il suo romanzo più noto, Un bellissimo novembre, da cui è stato tratto un film, con la regia di Mauro Bolognini e l’interpretazione di Gina Lollobrigida.

E. Z: Ma anche Giovannino, suo primo romanzo — storia di vita e di formazione —, dove ci restituisce Catania e Roma in maniera formidabile. Ci racconta negozi, monumenti, teatri, città, ma anche la campagna etnea, pedemontana, la vendemmia, la raccolta delle castagne, gli usi e le vite.

D’altronde, avvocato, Catania e Roma sono i poli principali della vita e della scrittura di Patti.

Luoghi che amava moltissimo, e questo si sente nella sua prosa. Descrive le latterie di Roma, gli odori, le trattorie. Non si tratta della Roma delle periferie, ma di quella della “Dolce vita”, di Piazza del popolo, di via Veneto. Erano anni bellissimi, in cui gli intellettuali vivevano Roma intensamente

Quello che la letteratura contemporanea ha perso sono i caffè e le riviste…

Tutto ciò che aggregava. Loro amavano invece stare insieme.

È la Roma “cinematografara”. Avvocato, che rapporti aveva con questo ambito?

È un mondo che ha frequentato, insieme a Brancati, fin dagli inizi. La prima attività che svolge è quella di sceneggiatore, assieme a Mario Soldati e agli altri. Poi questo cosmo diventa anche protagonista della sua narrazione. A parte i romanzi legati alla Sicilia, quando parla di Roma, non prescinde mai dal cinema, da Cinecittà e dai suoi personaggi: registi, comparse, l’ “attor giovane”. È un universo che conosce e descrive con vivezza e amorevole ironia.

E non è meno attivo sul piano delle cronache cinematografiche…

Sono il racconto di trent’anni di cinema ed è bello leggerle tutte in sequenza, per seguire l’evolversi della vicenda cinematografica non solo da un punto di vista tecnico, ma anche da un punto di vista sociale e culturale, attraverso il passaggio dai “Telefoni bianchi” al Neorealismo, ai film d’autore, ai Western spaghetti.

Ebbe uno sguardo privilegiato sui grandi divi?

Aveva la capacità di riconoscerli immediatamente: vede il primo film di Totò, capisce subito che sarà un grande attore se troverà un grande regista, così come vede il primo film della Bardot e capisce che quest’attrice, al di là della sua bellezza e sensualità, ha un talento importante. Sa cogliere i difetti fisici di interpreti celebrate, come Liz Taylor, che lui descrive a Taormina come una donnina piccola di statura, grassottella, col doppio mento, con un vestito che addosso a lei sembra fatto da una sartina di paese.

Non proprio tenero. Concorda professoressa?

Sì, ma tutto questo si legge come un racconto, quasi un romanzo. Ci offre un panorama concreto e graffiante di quell’universo. Quando parla di un film, per prima cosa spiega, con sintesi felicissima, da letterato, la trama, poi le tecniche, gli interpreti, la questione del cinema industria, l’arrivo delle produzioni americane. Inoltre era grande conoscitore dei festival; amava in particolare Taormina, dove gli attori più importanti del momento andavano volentieri, perché era un festival non competitivo, qui arrivavano i film che si sarebbero visti nella stagione successiva.

Si può dire, avvocato, che con le sue capacità di osservatore dà vita a una sorta di enciclopedia del costume?

Le sue sottolineature sociali sono importanti. Per esempio, quando parla dei Beatles, su cui Richard Lester aveva realizzato il film Aiuto!, osserva che lo spettacolo è in sala. A lui piace descrivere gli spettatori, i giovani che fremono sulle sedie, i loro vestiti, la foggia dei capelli. Trova che queste occasioni siano valvole di sfogo, perché i giovani possono scaricare così la loro esuberanza, la loro violenza, evitando di diventare dei bulli, di fare le corse in motocicletta.

Patti è un giurista come lei. Ci sono risonanze di quel mondo del diritto che riconosce nella sua scrittura?

Credo di no, poiché fu il padre, importante avvocato, a imporgli la laurea in legge, come condizione perché lui potesse occuparsi di letteratura. Lui voleva infatti andare a Roma, per frequentare l’ambiente letterario. Scese a compromesso con il padre, che gli consentì di stare sei mesi nella Capitale, purché si iscrivesse a Giurisprudenza e desse regolarmente gli esami. Se alla fine dei sei mesi non si fosse trovato al passo con la sua carriera universitaria, lo avrebbe richiamato a Catania. Per cui Patti fu molto ligio al dovere.

Sarah Zappulla: Però in Giovannino…

Enzo Zappulla: Nel romanzo Giovannino il protagonista fa la sua stessa vita, perché è costretto dal padre notaio a studiare il diritto, poi viene mandato in uno studio di un avvocato per fare pratica, e finisce per trasferirsi anche lui a Roma.

La visione concreta, pratica, quotidiana della vita è un tratto che accomuna molti avvocati… e questo lui lo ha, o no?

E. Z: Sì, questo forse sì, anche se io trovo ci sia più materia giuridica in Verga che in lui.

S. Z: Però, Enzo, Patti è molto autobiografico, e quella in fondo è un’esperienza positiva, che gli permette un’apertura. E non ci dimentichiamo che ci sono molti letterati laureati in giurisprudenza.

Bisognerebbe scrivere molti saggi su questo tema…

E. Z: Io penso d’altronde che non si possa fare il giurista se non si ha pratica di letteratura, perché è quest’ultima che ti dà la possibilità di capire i fatti della vita, che poi sono regolati dalle leggi. Letteratura e diritto hanno dei legami, una comune radice umanistica: la letteratura aiuta a comprendere il diritto.

Anni fa abbiamo organizzato un convegno, ' La Giustizia nella Letteratura e nello Spettacolo Siciliani da Verga a Sciascia', a cui hanno preso parte letterati, giuristi, accademici, giornalisti, notai, scrittori, avvocati, cineasti.

Lei come ha potuto tenere in equilibrio questa doppia vita di avvocato e storico della letteratura?

In qualche modo io ho avuto un’esperienza alla Patti. Ero un giovane studente universitario di giurisprudenza, con la passione per il teatro. A un certo punto mi si è posta la necessità di scegliere. Ho deciso di fare l’avvocato e mi sono dedicato alla professione a tempo pienissimo per un certo numero di anni. Poi mi sono concesso la libertà, anche perché nel frattempo avevo incontrato Sarah, di dare un occhio alla letteratura. Dopo tanti anni dedico più tempo alla letteratura che non al diritto.

Anche la vostra relazione è simile a un romanzo… E. Z: La letteratura ci aiuta a stare bene insieme.

S. Z: Parliamo sempre di questo, abbiamo meno tempo per litigare.

Enzo Zappulla: Scarichiamo le nostre tensioni discutendo di letteratura.

Quindi ringraziate la letteratura?

S. Z: Sì. E vorrei aggiungere che ringraziamo anche il nostro editore, perché in questo momento di crisi del mercato editoriale ci ha permesso di pubblicare un’opera di questa vastità. Ecco, se non ci fosse stata la disponibilità della casa editrice, non sarebbe stato possibile e di questo dobbiamo dire grazie a Elisabetta Sgarbi.

È meritorio, perché ci sono opere che si devono fare, a prescindere dal mercato…

E. Z: Sì, come diceva Umberto Eco: «Si deve».