La sentenza con la quale la Consulta che ha stabilito lirretroattività della Spazzacorrotti comincia a dare i suoi frutti. E non solo per i reati ricompresi nella norma bandiera del M5s, quella che ha, di fatto, equiparato la corruzione ai reati di mafia, ma anche in materia di immigrazione. A fare scuola, in questo caso, è la Corte dAppello di Lecce, che il 4 marzo ha deciso di applicare gli stessi principi affermati dai giudici della Corte costituzionale ad un caso che con la corruzione o la criminalità organizzata non ha nulla a che fare. E così ha dichiarato temporalmente inefficace lordine di esecuzione nei confronti di un uomo condannato per aver favorito lingresso di migranti in Italia, punito sulla base del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dellimmigrazione e norme sulla condizione dello straniero del 1998. Un reato che allepoca della sua commissione - ma anche della sua condanna - non prevedeva il divieto di accesso alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dellordine di esecuzione della pena, ma che a seguito delle modifiche legislative introdotte nel 2015 è diventato ostativo, prevedendo, dunque, il divieto di concessione dei benefici. La decisione della Consulta, lo scorso 12 febbraio, ha di fatto aperto la strada a decine di ricorsi, stabilendo che se al momento della sua commissione per un reato è prevista una pena fuori dal carcere non è possibile trasformarla, con una legge successiva, in una pena da scontare dentro il carcere. E a tale principio si sono conformati anche i giudici di Lecce, secondo cui «occorre prendere atto che si è determinata una rilevante ed imprescindibile innovazione del diritto vivente con riferimento alla tematica della disciplina dellesecuzione della pena. Il principio secondo cui le pene detentive devono essere espiate in base alla legge in vigore al momento della loro esecuzione con il corollario della immediata applicazione delle modifiche normative, anche deteriori, intervenute nel periodo successivo alla commissione del reato resta valido in linea generale, salvo che per le modifiche normative che comportano una radicale trasformazione della pena con diretta incidenza sulla libertà personale del condannato: in queste ipotesi, in ossequio allarticolo 25 comma 2 della Costituzione, restano applicabili le norme vigenti al momento del fatto». Il caso riguarda un uomo che sulla base di tre diverse sentenze - due della Corte dAppello di Lecce e una del Tribunale di Brindisi, pronunciate tra il 1999 e il 2013 - si trovava in carcere, sulla base di un provvedimento di esecuzione datato giugno 2017, per espiare una pena residua di tre anni e nove mesi, potendo dunque chiedere la sospensione dellesecuzione della pena sulla base della norma in vigore al momento della commissione dei fatti. Una possibilità esclusa, però, dalle modifiche legislative del 2015, intervenute prima dellordine di carcerazione. I difensori delluomo, a febbraio scorso, hanno però sottoposto ai giudici la pronuncia della Consulta, i cui giudici erano stati chiamati in causa già nel 2019 dal magistrato di sorveglianza di Lecce che aveva contestato lapplicabilità del divieto di concessione dei benefici per i reati relativi allimmigrazione, anche in riferimento alla applicabilità delle preclusioni anche ai reati che non hanno matrice associativa, con riferimento ai quali lincentivo alla collaborazione si presenta «privo di ragionevolezza».Nel caso specifico, dunque, la Corte dAppello di Lecce ha stabilito che «in ragione dellentità della pena oggetto del provvedimento di cumulo (anni 3, mesi 9 e giorni 18 di reclusione), inferiore al limite di 4 anni di reclusione, il richiedente ha diritto alla sospensione dellordine di esecuzione emesso a suo carico», ordine di esecuzione che «non può essere revocato o annullato, ma deve essere dichiarato temporalmente inefficace per consentire al condannato di presentare, nel termine di 30 giorni, la richiesta di concessione di una misura alternativa alla detenzione».