«Se proprio bisogna rinviarlo, facciamolo slittare di un mese, ma no ad accorpamenti con altre consultazioni». Andrea Cangini, senatore di Forza Italia e promotore, insieme a Nazario Pagano e Tommaso Nannicini, del referendum contro il taglio dei parlamentari non ha dubbi: l’emergenza coronavirus non giustifica alcun abbinamento della consultazione referendaria - attualmente fissata al 29 marzo con le Regionali di maggio. Il motivo? «Non si possono sovrapporre appuntamenti e argomenti completamente differenti tra loro», ci spiega.

Eppure, l’intenzione del governo sembra proprio orientata verso questa direzione: fondere le date sul calendario per consentire il normale svolgimento dei comizi elettorali, senza le restrizioni imposte dai provvedimenti sanitari. La decisione è attesa per domani, o almeno così ha fatto intendere Federico D’Incà, ministro per i Rapporti col Parlamento del Movimento 5 Stelle. «Dovremo decidere in questa settimana se mantenerlo o spostarlo a maggio, confrontandoci anche con l’andamento dell’incidenza del coronavirus e con la necessità di tempo adeguato per la campagna referendaria», ha fatto sapere il ministro, mandando in allarme i comitati per il No al taglio dei parlamentari, irritati per non essere stati consultati preventivamente.

«Giovedì scorso abbiamo scritto una lettera indirizzata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese chiedendo un incontro tempestivo per valutare la situazione», dice ancora Cangini. «Ma ad oggi non abbiamo ricevuto alcuna risposta, e già questo, francamente, è bizzarro», aggiunge, prima di insinuare un sospetto: «Ho appreso da più fonti che il M5S è spaventato dall'idea di un flop del referendum, sia come partecipazione che come risultato», argomenta Cangini. «Credo che la proposta di accorpare referendum ed elezioni regionali sia solo dettate da queste ragioni». Per i sostenitori del No sarebbe dunque solo un modo «alterare» i risultati, portando alle urne cittadini che magari non sarebbero usciti da casa se non per convinzioni profonde ( per i referendum costituzionali non è previsto quorum). A sostegno della tesi di Cangini, contraria alla contemporaneità delle consultazioni, inoltre, ci sarebbe un precedente. «Nel 2000 i Radicali chiesero di abbinare alcuni quesiti referendari alla Regionali che si svolgevano quell’anno e gli fu detto di no proprio in virtù della non sovrapponibilità delle materie. Un concetto già chiaro al diritto romano», argomenta. Non solo, il senatore azzurro è convinto anche che la fusione comporterebbe necessariamente un risultato disomogeneo a livello nazionale, essendo solo sei le regioni chiamate al voto.

Per il momento le forze politiche non si sbilanciano. Matteo Salvini dice di non aver mai chiesto un rinvio, anche se fino a pochi giorni fa la proposta era stata avanzata da più di un esponente leghista, mentre Pd e M5S evitano di schierarsi apertamente. Solo Emma Bonino, per conto di + Europa, invoca a gran voce un differimento «non opportuno, ma addirittura doveroso». Nel mazzo dei sostenitori dell’accorpamento c’è un asso sempre efficace: il risparmio economico. Eppure, neanche questa argomentazione convince Cangini. «Faccio ricorso alle parole utilizzate da Danilo Toninelli nel 2016, durante la campagna contro il referendum di Renzi: “La democrazia non è un costo”, disse l’esponente pentastellato, convinto che il risparmio proveniente dall’abolizione del Senato corrispondesse a un caffè all'anno per ciascun italiano» .