«La cosa che mi fa più tristezza sono queste tifoserie, che vogliono dividerci tra una vittima e l’altra. E nessuno vede che si tratta di adolescenti a metà, di persone con un vuoto interiore enorme, che nessuno cerca di colmare». Soffre, Samuele Ciambriello, Garante regionale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. Soffre per Ugo Russo, ucciso durante un tentativo di rapina, ma soffre anche per chi ha sparato, ora costretto a fare i conti con le conseguenze irreversibili delle proprie azioni. Soprattutto perché l’ennesimo caso di cronaca, anziché far interrogare sul da farsi, diventa l’ennesimo episodio da cannibalizzare a uso e consumo della politica. Che trova le proprie tifoserie, racconta al Dubbio, sempre pronte ad applaudire e mai ad interrogarsi. «Bisogna far capire che non è abbassando l’età punibile che si risolvono i problemi: serve accudimento».

Garante, quello che è accaduto a Napoli ha fornito l’ennesima occasione per reclamare leggi speciali per la Campania. La soluzione è questa? Le do un dato per farle capire la situazione: in Emilia Romagna, nel 2019, sono stati arrestati molti minorenni, giovani fino a 18 anni, per ferimenti e uccisioni, anche molto brutali. Più che a Napoli. Questo vuol dire che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, bensì cercare di capire cosa accade ai minorenni e cercare delle soluzioni.

E cosa accade? Alcuni vivono una precarietà economica, altri una precarietà familiare, affettiva, culturale. Ci sono quelli che evadono l’obbligo scolastico, ma anche stavolta i numeri più alti non sono in Campania, come si potrebbe credere: l’anno scorso, su 500mila giovani che dovevano arrivare alla maturità, 80mila non ci sono arrivati e la prima regione di non diplomati è la Toscana. La Campania è seconda, seguita dalla Sicilia.

Chi intercetta questi adolescenti? Il problema è proprio questo. Si riesce a farlo solo quando molti di loro passano dal disagio alla devianza e purtroppo alla microcriminalità, la terza fase. E a quel punto tocca citare Pasolini: in questo mondo colpevole, che solo compra e disprezza, il più colpevole son io. Siamo noi che non abbiamo capito come intervenire e non lo abbiamo fatto. Questo ragazzo, ad esempio, era stato aiutato dai servizi sociali, non era un pregiudicato, però credo che molti di loro siano adolescenti a metà, hanno la morte nel cuore. Una volta c’era chi viveva la delinquenza per comprare un motorino, per fare l’abbonamento al Napoli o le vacanze. Ora vogliono tutto e subito.

Ma questo perché accade? Hanno un vuoto esistenziale dentro. Nel loro codice non c’è una scala di valori. Sono adolescenti a metà, vivono di istinti e di istanti, rimanendo distinti e distanti dalla comunità. E quando accade in questi quartieri, in questa solitudine, in questa povertà anche educativa sono in balia dei loro istinti. E quello è l’ennesimo fallimento di una comunità. Tendiamo a dimenticarci che siamo noi singoli a formare lo Stato. E quando si parla di queste situazioni a cosa si pensa? Ad abbassare l’età punibile, anziché cercare soluzioni. Non si può pensare una cosa del genere.

O, appunto, si pensa alle leggi speciali. I dati sono allarmanti e riguardano non solo la Campania, bisogna prenderne atto. Quindi la soluzione non può essere questa. Quelli che la pensano così sono convinti che il contenimento, l’esigenza di sicurezza, il carcere siano la soluzione. Però sono aumentati i detenuti nelle carceri, adulti e minorenni, mentre sono diminuiti i reati. Allora c’è qualcosa che non va, nelle leggi e nella loro applicazione, nella loro interpretazione. Accanto al contenimento, questi adolescenti a metà hanno bisogno dell’accudimento, cioè della tutela dei loro diritti. A partire dai casi di dispersione scolastica: bisognerebbe intervenire e consentire anche l’affidamento temporaneo altrove, per garantire tutta una serie di servizi. E poi sì, istituirei un’aggravante per il branco: da soli questi ragazzi non sono nulla.

E come possono essere garantiti questi servizi? In Campania, ad esempio. è stato sperimentato, con Bassolino, il reddito di cittadinanza per i minori, che veniva erogato con servizi, oltre che con denaro. Ciò voleva dire che se i bambini venivano portati a scuola, magari anche di pomeriggio, allora veniva consegnato il reddito di inclusione, assieme ad una serie di servizi. E questo dobbiamo dare: inclusione. Ma anche accudimento. C’è uno Stato che deve dimostrare di rispettare la propria responsabilità educativa. Questa tragedia mi amareggia, perché vedo dei tifosi sulle gradinate, senza biglietto, che si divertono a giocare come fossero allo stadio. Io farei silenzio. Anche il giovane che ha sparato sta vivendo con un animo inquieto, non ha bisogno di tifosi, nemmeno lui. Ma sbagliano anche i genitori del ragazzo a minimizzare, come se fosse una bravata. Ci rendiamo conto che le pistole vengono regalate come un giocattolo anche a livello familiare?

Però le tifoserie ci sono. Io non mi faccio dividere, mi rifiuto. Mi chiedo, piuttosto, dove ho sbagliato io stesso. Credo che occorra liberare i minori dalla povertà educativa per renderli adulti responsabili. Abbiamo bisogno di più educatori, di più maestri di strada. Abbiamo bisogno di più investimenti nelle politiche sociali, di considerare la cultura come se fosse un ottavo sacramento. Occorre fare investimenti di prevenzione, anche attraverso lo sport. E servono testimonianze. E anche quando passano dal disagio alla devianza dobbiamo mettere in campo delle risposte. Come progetti di accoglienza, sostegno, integrazione e anche, se necessario, di allontanamento temporaneo.