Potremmo far risalire tutto al divino. Che ci siamo macchiati di chissà quali peccati e adesso dobbiamo scontarne la colpa. Per il virus dellHiv, la chiamata del divino fu perfetta. Il sesso troppo esibito, sporco, le nostre perversioni, i costumi slabbrati, tutto faceva pendere per lAltissimo intervento. Che avvenne, e fu subito Aids. Ma qui, per questa influenza, se poi sarà solo influenza, possiamo al massimo scomodare una mezza seduta spiritica, piuttosto che un paio di intrugli del mago Otelma. Insomma, non cè spazio per immaginare una colpa così grave da meritarci unepidemia. E allora, per capirci di più, dobbiamo restare a un nodo della storia contemporanea, che è la supremazia milanese di questi anni, e ragionare sulla narrazione di una Milano superiore, che ha messo in riga tutti gli altri, che è una cattura-appalti naturale, che spinge come la vera motrice del Paese, che assesta il colpo definitivo alla sua rivale storica, la capitale papalina che ormai da qualche anno ha ceduto la supremazia alla capitale morale del pre-Tangentopoli. È in questo contesto che nasce un contrappasso di grana fina, inaspettato e ovviamente ispirato, almeno sin quando Roma sarà tenuta fuori dallemergenza sanitaria. Ma insomma, la rivincita di una città che sembrava inghiottita da sé stessa, irredimibile, con un sindaco che neppure più naviga a vista ma è inghiottito dai miasmi, bene, questa città sempiterna assiste al Day After milanese non senza una punta di malcelata soddisfazione. Guarda smarrita agli scenari di guerra , a quei supermercati presi dassalto, agli uffici chiusi di grandi e piccole aziende, ai locali serrati, al coprifuoco che inesorabilmente chiude la giornata intorno alle 18, quando, sino a qualche settimana fa, si diceva iniziasse per chiudersi alle prime luci dellalba. Adesso, a Milano stanno tutti chiusi in casa e chi esce viene indicato come un coraggioso della storia che mette sé stesso al centro del pericolo. E in questo rovesciamento della storia, qualcuno ci vede addirittura una sorta di risarcimento politico.Tutto (o molto) è scappato via da Roma in questi anni. E tutto, o molto, con ragioni evidenti che sarebbe impossibile contestare. Il tono culturale della politica, che si è inabissato ben sotto la soglia della decenza, ha travolto lessenza stessa del rimanere a Roma, la sua motivazione principale. Lo hanno capito, a un certo punto, le aziende editoriali, che hanno trasferito la forza lavoro in quel di Milano. Lo ha fatto Sky, lasciando i palazzi di via Salaria per Santa Giulia, lo ha fatto la redazione romana del Giornale, lo vorrebbe fare Mediaset, lo ha imposto qualche giorno fa la Stampa, che spedisce a Torino sette giornalisti, di cui sei sono donne. Sino a che Roma è stata potente, sino a che i Palazzi simbolicamente hanno rappresentato il Paese, nessuno avrebbe mai immaginato di poter trasferire le attività in quel di Milano, una città che sul piano politico non ha mai contato troppo. Ora invece è una realtà sotto i nostri occhi. A quando far risalire il germe di questo cambiamento? Probabilmente allavvento del Movimento Cinquestelle. Che non aveva matrice e che ha approfittato di un vuoto politico, di uno smarrimento generale, di unesigenza di cambiamento che si avvertiva in modo netto allinterno della società. Levocazione di una scatoletta di tonno, ne è stato il simbolo più feroce e distruttivo. Considerare Roma, i suoi palazzi, il potere che ne conseguiva, come la sentina di tutti i mali, è stato il grimaldello fondamentale per sbarcare nella Capitale da vincitori. Poi però, con il passare degli anni, Roma si è ripresa, ha risucchiato i grillini nella sua spirale ripetitiva, nelle cerimonie che il Potere richiede, nellassolvere a riti come convegni, dibattiti, discussione per la spartizione dei posti. Insomma, la politica. Nel frattempo, Milano aveva innestato la quarta, pompando vitalità, facendosi largo come centrifuga economica, Milano di qua, Milano di là, chiunque avesse unidea avrebbe dovuto depositarla sulluscio di Milano e poi la città ne avrebbe discusso, accogliendola o tenendola fuori dalla cerchia cittadina. Poi un bel giorno, un virus infetta le sicurezze. E Milano perde il suo abituale equilibrio. Non ragiona, subisce. Non si impone, non precede. Agisce sulla paura e sulla paura demolisce la sua idea di coesione sociale. Non era una bolla la Milano produttiva, che traina il Paese. Ma lhanno raccontata in modo troppo celebrativo e supponente, per non sentire, oggi Roma, che la giornata di una malinconica rivincita è arrivata.